Omicidio di Pordenone, sms sospetto: «Caro, hai fatto qualcosa?»

Messaggio scritto dalla fidanzata a Ruotolo, indagato. E' stato spedito la sera del duplice omicidio di Gabriele Gabbini

Le vittime, Teresa Costanza e Trifone Ragone

Le vittime, Teresa Costanza e Trifone Ragone

Pordenone, 8 ottobre 2015 - «Amore, hai fatto qualcosa che non mi hai detto?». Erano da poco passate le 20 della sera del 17 marzo e i corpi di Trifone Ragone e Teresa Costanza erano appena stati ritrovati nel parcheggio del palasport di Pordenone. Uccisi da cinque colpi di una pistola calibro 7.65. Il testo del messaggino, via whatsapp, sarebbe stato inviato della sua fidanzata direttamente a Giosuè Ruotolo, unico indagato ma a piede libero, per l’omicidio della ‘coppia d’oro’. E, se confermato, potrebbe rappresentare una nuova svolta nel caso. Un primo commento per il momento arriva dall’avvocato del 26enne accusato di duplice omicidio volontario premeditato e porto abusivo di arma da fuoco: «Non sono ancora riuscito a sentirlo – spiega Roberto Rigoni Stern –, ma sono certo che, se anche confermato, quel messaggio non abbia nulla a che fare col caso».

Intanto prosegue il lavoro della difesa per scagionare il commilitone ed ex coinquilino di Trifone. Un lavoro che si concentra soprattutto sulle riprese delle telecamere che hanno immortalato l’auto di Ruotolo proprio all’ingresso del parco dove è stata ritrovata l’arma: «È impossibile – precisa Rigoni Stern – che in quei sette minuti di ‘buco’ Giosuè sia riuscito a fermarsi, a buttare la pistola nel laghetto e a tornare verso casa. L’ingresso del parco infatti dista dal laghetto almeno 7-8 minuti a piedi, senza contare il ritorno».  Sebbene, è giusto ricordarlo, lo stesso Ruotolo abbia dichiarato di essersi recato al parco per fare una corsa, non una passeggiata. Altro elemento importante è poi la famigerata ‘collezione’ di armi d’epoca custodita in casa Ruotolo, dato che anche l’arma usata per il crimine risalirebbe ai primi del ’900: «Anche questo è inesatto – continua però il difensore e criminologo –. Nella casa di Somma non esiste alcuna collezione di armi, ma solo dei vecchi fucili da caccia, già sequestrati, che nulla c’entrano con la pistola che ha ucciso i due ragazzi». Anche perché «Giosuè non vedeva né sentiva Trifone da anni – aggiunge la toga – a parte un singolo sms nel quale Trifone scriveva al mio assistito chiedendogli di recarsi in infermeria per un vaccino. I due avevano perso i contatti, ma tra loro non c’era alcun motivo di astio».