Omicidio di Pordenone: «Nostra figlia, morta senza perché». Sul delitto il giallo della telecamera

L’accusa dei genitori di Teresa, uccisa in marzo insieme col fidanzato. "Più volte ci siamo recati sul luogo dell’omicidio La quarta telecamera era stata deviata: chi sa parli" di Gabriele Gabbini

I genitori di Teresa Costanza mostrano una foto della figlia, uccisa a Pordenone con Trifone Ragone

I genitori di Teresa Costanza mostrano una foto della figlia, uccisa a Pordenone con Trifone Ragone

Sembra in alto mare l’indagine sull’agguato mortale ai due giovani fidanzati di Pordenone. Ed è giallo sulla morte di Trifone Ragone, 29 anni, pugliese originario di Monopoli, sottufficiale dell’Esercito in Le vittime, Teresa Costanza e Trifone Ragoneservizio al Reggimento Carri di Cordenons, parte della Brigata Corazzata Ariete, e della bella Teresa Costanza, 30 anni, originaria di Agrigento, laureata alla Bocconi in Marketing Management, dipendente delle Assicurazioni Generali. Per il procuratore di Pordenone dalle indagini sul duplice omicidio non erano emerse situazioni particolari, ombre o minacce nei confronti della coppia. Intanto i controlli proseguono senza tralasciare alcuna pista. I genitori della ragazza, dopo sei mesi senza ulteriori sviluppi, sono decisi a scuotere dall’oblio l’oscura vicenda alla ricerca di una chiave di lettura, un movente e delle prove, che ancora non si trovano.

Lodi, 12 settembre 2015 - Tra pochi giorni saranno sei mesi, e ancora oggi papà Rosario e mamma Carmelina stringono in pugno soltanto ombre e incubi. Era il 17 marzo scorso quando il fragore di una pistola calibro 7.65 spazzava via in un secondo i sogni della coppia. La figlia Teresa Costanza, 30 anni, bella come una miss, e il suo fidanzato Trifone Ragone, militare di 29 anni, sono vittime di un agguato nel parcheggio del palazzetto dello sport di Pordenone, in Friuli, dove i due si erano appena trasferiti. Tre colpi per lui, due per la meravigliosa compagna. E ancora nessuna risposta. Rosario e Carmelina, che vivono in provincia di Lodi, però non si rassegnano. Sono andati più volte sul luogo del delitto, a raccogliere testimonianze e indizi. Su quel parcheggio erano puntate tre telecamere, tutte risultate fuori uso. «C’era una quarta telecamera – svela Rosario – e i residenti ci hanno mostrato che una mano anonima ne avrebbe modificato l’angolo di ripresa, magari proprio quella sera».    Gli inquirenti sanno che la quarta telecamera che sarebbe stata oscurata intenzionalmente? «Abbiamo un appuntamento a fine mese – è la replica – spiegherò loro anche questo. Siamo rimasti zitti finora, ma questo silenzio ci sta uccidendo. Non possiamo più starcene qui così. Chiedo solo delle risposte». Uno spiraglio, forse solo una voce. «Ma potrebbe rappresentare un elemento importante. Abbiamo bisogno di capire perché. Perché lei, perché loro». Papà Rosario aveva parlato al telefono con Teresa soltanto poche ore prima del dramma: «Mi ha chiamato dicendomi che stava andando in palestra a prendere Trifone – ricorda – voleva un consiglio, una consulenza. Sembrava serena, felice. Come sempre». Quella stessa notte però l’arrivo dei carabinieri e la corsa in macchina fino a Pordenone, senza sapere nemmeno cosa fosse successo. »Non ci avevano detto nulla – continua il padre, lo sguardo distante di chi si appresta a raccontare una storia che conosce ormai a memoria – . La rivivo ogni notte. Abbiamo cominciato a capire cosa fosse successo a metà strada, dai messaggi degli amici su Facebook». A leggerli il fratello più grande, Calogero, di 34 anni. «Mentre guidavo mi ha detto: papà, fermiamoci in autogrill. Fingeva di voler fare una semplice sosta ma io ho capito subito che voleva dirmi qualcosa d’altro». «Stavano cercando di proteggere me», interviene mamma Carmelina, stretta al braccio del marito nel salotto di casa, a Zelo Buon Persico, alto Lodigiano, dove la famiglia si è trasferita quasi quattro anni fa. In casa tutto ancora parla di Teresa.    Appesi al muro sopra la tv ci sono alcuni ritratti, di fianco una tela raffigurante una donna allo specchio. «Li ha fatti lei quei disegni – continua la madre, intercettando i nostri sguardi – aveva una bella mano, non trova?». Sorride, ma un attimo dopo torna il buio. Cuore di mamma che si batte contro la commozione e il dolore. È ancora troppo scossa Carmelina, e in soccorso arriva il marito: «In sei mesi non ci hanno detto nulla di significativo. Io ho fiducia negli inquirenti ma anche bisogno di risposte. Siamo tornati su quel parcheggio, a terra c’era ancora il sangue». Una pausa, gli occhi gonfi. Poi il racconto va avanti: «Alle 19.30 (l’ora del delitto, ndr) quel posto è un viavai di persone, lì intorno è pieno di villette e una 7.65 fa rumore. Mi sono documentato sa? Qualcuno deve aver almeno sentito qualcosa». Originaria di Favara, in provincia di Agrigento, la famiglia Costanza è emigrata in Lombardia nel 1997, in cerca di opportunità e di una società aperta. Mai avrebbero pensato di ritrovarsi di fronte un muro di omertà. «Aspetteremo fino a ottobre – chiarisce Rosario – poi torneremo in piazza. Non posso permettere che mia figlia venga dimenticata».