Omicidio Macchi, possibili pressioni sui ricordi dei testi

Lunedì sei testimoni-chiave compariranno davanti al giudice di GABRIELE MORONI

Il sostituto procuratore generale Carmen Manfredda

Il sostituto procuratore generale Carmen Manfredda

Varese, 10 febbraio 2016 - Sei nomi. Sei testimonianze da cui il sostituto procuratore generale Carmen Manfredda, protagonista dell’avocazione e della riapertura dell’inchiesta sull’omicidio di Lidia Macchi, si attende una “cristallizzazione” che renda definitive le dichiarazioni di quelli che sono stati individuati come i testi più importanti. Avverrà lunedì mattina davanti al gip di Varese Anna Giorgetti, con la formula dell’incidente probatorio. Una formula che nella sua richiesta al gip il sostituto pg Manfredda ha motivato con l’ipotesi che i testi potrebbero ricevere “pressioni”. Viene citato il caso di Patrizia Bianchi, la ragazza all’epoca innamorata di Binda e come lui militante di Comunione e Liberazione, che già all’indomani della morte di Lidia (uccisa il 5 gennaio 1987) inizia a nutrire sospetti su Stefano Binda, ma solo 27 anni dopo si presenta in questura a Varese.

La testimonianza di Patrizia Bianchi segna la svolta delle indagini. Dopo avere visto pubblicata su un quotidiano la prosa anonima “In morte di un’amica”, recapitata alla famiglia Macchi il giorno dei funerali di Lidia, riconosce la grafia come familiare e consegna alla squadra mobile quattro vecchie cartoline scrittele da Binda. Agli investigatori la donna fornisce anche qualche racconto. Quando Patrizia lo informa che il corpo di Lidia è stato ritrovato (la mattina del 7 gennaio ‘87), mentre non c’è traccia dell’arma del delitto, la reazione del giovane è sproporzionata, inusuale agli occhi di Patrizia, che non lo ha mai visto tanto alterato.

Nell'aula del tribunale di Varese, davanti ai due magistrati, a Binda e ai suoi difensori Sergio Martelli e Roberto Pasella, all’avvocato Daniele Pizzi, legale della famiglia Macchi, sfileranno Patrizia Bianchi; don Giuseppe Sotgiu, al tempo l’amico più stretto dell’arrestato; don Fabio Baroncini, assistente religioso di CL e della Gioventù studentesca, oggi parroco a Niguarda; Paola Bonari, l’amica e compagna di appartamento a Milano a cui Lidia va a fare visita all’ospedale di Cittiglio, poche ore prima di essere assassinata; Stefania Macchi, sorella della vittima; Emanuele Flaccadori, amico sia di Binda sia di Giuseppe Sotgiu, uno degli organizzatori del soggiorno dei ragazzi di Gs a Pragelato, dal primo al 6 gennaio ‘87, a cui Binda sostiene di avere partecipato. Flaccadori lo esclude. "Impossibile - ribadisce, ascoltato il primo ottobre 2015 - che Stefano Binda sia stato a Pragelato nel 1987 perché secondo me era già all’università; io non mi ricordo la sua presenza in quella vacanza. I ragazzi presenti erano più piccoli e Stefano era molto selettivo nelle proprie amicizie".