Giovedì 18 Aprile 2024

Venezia, si ride col noir surreale di Andersson / VOTO 8

In concorso 'A Pigeon Sat on a Branch' del regista svedese, ultimo capitolo della 'Trilogia dei viventi'

Il cast di 'A Pigeon sat on a branch refeflecting on Existence' a Venezia (Ansa)

Il cast di 'A Pigeon sat on a branch refeflecting on Existence' a Venezia (Ansa)

Venezia, 2 settembre 2014 - Piccole storie di ordinaria infelicità, pazzia e incomprensibile gaiezza, racchiuse in pose plastiche come in un dipinto di Bruegel, stesso gusto, accentuandone la colorazione naturale, facendo abbondante uso di cerone sui visi per conferire alle scenette il carattere dell’imbalsamazione. Piccoli quadri ordinari? Sì, in Svezia e Norvegia, dove nasce il tipo di cultura e l’umorismo cari all’autore Roy Andersson. Perché in Italia abbiamo tradizioni ben diverse. Di questo si compone l’ultimo film del regista svedese, ‘A pigeon sat on a branch reflecting on existence’, in concorso a Venezia, che alla proiezione della stampa ha strappato risate a scena aperta e applausi. Risate non solo da parte degli estimatori di Andersson, gruppo assai compatto, ma di tutti, che non si aspettavano da se stessi questo tipo di reazione. Terzo e ultimo capitolo della 'Trilogia dei viventi', il film è diviso in tanti episodi, corrispondenti a piani sequenza ed elaborati come dei tableaux vivants, che si rifanno alla scuola fiamminga e a un'altra grandissima fonte di ispirazione per il cineasta, il pittore della solitudine Edward Hopper, caposcuola del Novecento americano in pittura. 

Ebbene Andersson, classe 1946, dona a queste tavole di spiriti solitari l’anima della motion picture e l’afflato della vita, caduca, fragile, che sta per andarsene. Onorato di una esposizione al MOMA di New York nel 2009, il regista fa respirare e parlare i suoi personaggi attraverso un vocabolario tanto risicato quanto pieno di senso, sovrapponendo significato della parola a significante, mutando il contesto di volta in volta. Sogno o realtà? Lo spettatore è quindi portato a chiedersi: ma sono le situazioni quotidiane a essere assurde o invece queste strane maschere di commessi viaggiatori, cameriere zoppe e cadaveri parlanti? Non c’è una risposta univoca al quesito. Stiamo soltanto assistendo all’infinito spettacolo della vita. Un baricentro narrativo c’è, la coppia di venditori nel settore del divertimento, anacronistici e vestiti come becchini, grotteschi e muscolarmente lenti, che tentano di portare a casa un buon affare vendendo articoli del passato, denti da vampiro e scatole che ridono, puntando tutto sull’ultimo arrivato, la maschera dello Zio Dente Solitario. Le loro facce non sono troppo dissimili dallo zio dente, e nemmeno da quelle degli altri abitanti il curioso condominio dell’esistenza eretto da Andersson. 

Tra gli episodi più esilaranti e riusciti, eccone tre a cavallo fra morte e vita: la nonna morente in un letto di ospedale, così attaccata ai suoi gioielli da esplodere in uno sgraziato grido di dolore solo alla minaccia di portarglieli via. L’uomo che muore al self service del traghetto, dopo aver saldato il conto, le cui pietanze vengono cinicamente offerte ai commensali. E infine quello forse più ottimista, al ristorante di Limping Lotta, in cui si può pagare elargendo un bacio alla cameriera zoppa. Alcuni quadri rimangono un mistero, altri mettono alla berlina convinzioni ataviche dell’uomo: la scimmia di laboratorio o il recrudescente ritorno al razzismo messo in scena attraverso un inceneritore ante litteram. Eppure, nonostante tutto, davanti a un evidente uso di humor nero alla svedese, l’afflato per la vita emerge, proprio per contrasto, assurdamente, contro la crudeltà che ci viene somministrata dalla natura e dalla società civile. 

"Non mi interessa raccontare una storia, mi interessa presentare le mie immagini - precisa Andersson all’incontro con i giornalisti - per questo ricerco punti di riferimento nell’arte, gli olandesi, quelli che preferisco. Il linguaggio che adopero, il cinema, cerco di allinearlo a quella bellissima fonte di ispirazione. Ma oggi non abbiamo pazienza, non abbiamo tempo. Non avremmo la possibilità di raggiungere gli stessi vertici qualitativi di quell’epoca splendida". 

Voto 8