Monza, 1 giugno 2014 - Il libro non morirà. Mai. Magari passerà in parte al digitale, ma la carta resisterà. Parola di un libraio doc, uno capace - con la catena Il Libraccio - di creare un piccolo impero, il più grande in Europa nel settore del misto (usato e nuovo), uno che anche in tempi di crisi continua a investire sui libri. Edoardo Scioscia di esistenze ne ha attraversate diverse: emigrato da bambino in Brianza, ambulante fra gli spalti degli stadi, studente impegnato della sinistra extraparlamentare, venditore di libri usati fuori dalle scuole fino a una società capace oggi di fatturare quasi 70 milioni di euro all’anno.

Partiamo dalle origini.
«Sono nato a Napoli e in Brianza, a Brugherio, dove vivo tutt’ora, sono arrivato nel 1970: ho fatto le scuole medie qui e le superiori al liceo scientifico Frisi… Dopo mi iscrissi a Giurisprudenza, ma non riuscii a dare nemmeno un esame: lavoravo già, nei mercatini di libri…».

Da ragazzo la politica.
«Movimento studentesco, facevo attività politica nella sinistra extraparlamentare».

Poi è diventato imprenditore…
«Vengo da una famiglia piccolo borghese, mio padre era un funzionario di industria, mia madre casalinga, in più ho una sorella maggiore… A 14 anni e 3 mesi andai a vendere bibite all’Arena di Milano, ero lì quando il grande Marcello Fiasconaro, atleta italo sudafricano di atletica, fece il record mondiale negli 800 metri…».

Ha sempre venduto, oggi fattura 68,8 milioni di euro.
«Tre ragazzi che divennero miei carissimi amici fondarono il Libraccio nel 1979, io li avevo conosciuti già un anno prima proprio ai mercatini di libri degli studenti: nell’82 diventai loro socio e nell’83 aprii il primo Libraccio a Monza».

Alla base del Libraccio c’era una filosofia…
«Dare un servizio, aiutare le famiglie nella compravendita dell’usato. Poi all’usato abbiamo abbinato i libri nuovi. Il passo successivo è arrivato quando abbiamo capito che non c’era solo la stagionalità: il mondo delle librerie poteva essere intrigante, giocando sul misto - usato e nuovo - con una filosofia molto anglosassone e americana. Perché un libro vive sempre. Poi ci siamo aperti a musica, Dvd e cartoleria».

Strategia?
«Incontrare il pubblico sin dall’inizio, quando i libri si comprano soprattutto per obbligo scolastico, e continuare dopo, quando subentrano passione e diletto. Lavoriamo alla crescita sociale del Paese: in fondo, il libro è il mezzo culturale più economico a disposizione».

Affari e ideali: le famiglie risparmiano con l’usato, voi ci guadagnate…
«Il problema è coniugare le due cose: dare economicità alle aziende è fondamentale. In fondo, già da ragazzi lavoriamo per guadagnare, l’obiettivo è trovare un equilibrio e cercare di mantenere le nostre fondamenta: così il Libraccio è arrivato a compiere 35 anni».

I numeri sembrano darvi ragione.
«Nel settore misto, siamo la più grande libreria indipendente d’Europa e forse del mondo. Abbiamo oggi 40 librerie fra Lombardia, Liguria, Piemonte, Toscana, Emilia e Veneto, 6 regioni con oltre 30 punti vendita, abbiamo 250 dipendenti più l’equivalente di una cinquantina a tempo determinato. E non guadagniamo solo con la scuola come agli inizi: il nostro fatturato viene per 44milioni di euro da lì, ma per altri 24 dal resto».

E la spinta ideale?
«C’è sempre… Facciamo tante iniziative benefiche, ma per scelta non le leghiamo mai alle nostre attività commerciali. E poi, quando abbiamo deciso di legarci al mondo delle vendite on-line, abbiamo scelto di diventare soci di Ibs, la più grande libreria italiana del settore, piuttosto che all’americana Amazon: volevamo continuare a pagare le tasse in Italia, da cui arriviamo, e ne siamo molto orgogliosi».

I libri hanno un futuro, o sono destinati a cedere al digitale?
«I contenuti sono contenuti e solo quelli contano per il progresso del Paese… Noi abbiamo negozi in sede fissa, ma abbiamo sott’occhio anche l’on-line. E il futuro sarà vendere scolastica digitale. Attenzione però, la vendita di e-book in Italia è al 3%, e la crescita molto ridotta, mentre l’on-line è al 12%. Non c’è conflitto: sappiamo che la carta si ridurrà, come negli Usa dove però il digitale, che pure va decisamente meglio, è al 25%: ecco, noi cerchiamo di essere l’eccellenza del restante 75%, e in un settore dove tutti disinvestono, noi invece investiamo».

I libri che le hanno cambiato da vita?
«Due di Andrea De Carlo, da ragazzo: “Uccelli da gabbia e da voliera” e “Treno di Panna”, me li consigliò un carissimo amico».

I preferiti?
«“Il Maestro e Margherita” di Bulgakov e, di recente, “Stoner” di John Williams. E poi molti gialli: ho letto quasi tutto Simenon. E sono appassionato di storia del ‘900 e della storia politica degli anni ’70, l’epoca in cui mi sono formato. Sono anche un collezionista di manualetti della Hoepli (ne ho 600 su 2000 titoli), libri su Africa e Madagascar, sull’Adda e la zona di Imbersago. E sulla mia Napoli. Ho migliaia di libri».

Gli italiani leggono?
«Poco e sempre meno, ma spero che la sbornia del telefonino, che ha acuito il problema, finisca. La verità è che la società oggi porta ad avere sempre meno spazio, ma spero che questa tendenza possa invertirsi, magari grazie alla scuola che è l’unico strumento».

La battaglia con le grandi catene e i supermercati è dura…
«C’è poco investimento sulla cultura nel nostro Paese, dove non è mai stato chiarito il quadro normativo sulla vendita dei libri e dove spesso si sono messe le librerie nelle condizioni di non riuscire a resistere. Al Libraccio non abbiamo mai avuto o voluto aiuti dallo Stato, e certo non pensiamo di gareggiare con i supermercati sulla vendita dei best-seller, ma qualcuno in Italia è dopato: accettiamo la concorrenza, ma non quella senza regole. La tutela del libro è la tutela del patrimonio culturale».

La felicità per Edoardo Scioscia?
«Ho un motto: passione, coraggio e umiltà, perché non dobbiamo mai dimenticare da dove veniamo. Molto me lo ha insegnato lo sport: ho già corso 13 maratone, ora voglio andare a Istanbul».

di Dario Crippa
dario.crippa@ilgiorno.net