Vimercate (Monza), 8 maggio 2014 - Sono usciti ieri senza la speranza di tornare. In tasca la lettera per la cassa integrazione straordinaria a zero ore, che suona come un licenziamento anticipato. «Di fatto è così. Dopo aver lavorato 25 anni mi hanno liquidato in pochi minuti, raccomandando di non intentare cause perché altrimenti avrebbero fatto scattare la mobilità». Veronica Colnaghi è uno dei 50 dipendenti di Alcaltel Lucent messi subito fuori dalla porta, con la missiva consegnatale in mattinata. In questo primo scaglione saranno 90, poi arriveranno altre due tornate tra luglio e gennaio: a Vimercate resteranno a casa per un anno 140 persone, una parte consistente dei 285 esuberi a livello nazionale. Ieri è stata una lunga giornata di sciopero e presidio davanti alle portinerie, otto ore in tutti gli stabilimenti italiani. La prima di una mobilitazione che ricomincia dopo il mancato accordo al Ministero.

Da un lato la multinazionale franco-americana, irremovibile nel rifiutare i contratti di solidarietà e la cassa a rotazione. Dall’altro i delegati sindacali pronti a riprendere il filo di una trattativa difficile, come spiega Adriana Geppert, Rsu della Fiom Cgil: «Scioperiamo e manifestiamo perché pensiamo che la partita non sia chiusa. Non c’erano le condizioni per un accordo, ma chiediamo di riaprire il tavolo partendo dalla cassa che deve essere a rotazione. Non può essere gestita così, perché in sostanza sono delle lettere di licenziamento». Oggi ancora braccia incrociate e assemblea.

«Eppure il lavoro non manca. L’azienda consegna le missive proprio mentre chiede ad altri colleghi di lavorare sabato e domenica. Una beffa e un controsenso», aggiunge Geppert ricordando le mille firme raccolte tra le maestranze per l’introduzione dei contratti di solidarietà. Richiesta ignorata. Angelo Cereda, delegato Fiom: «In mezz’ora ho perso tutto quello che avevo costruito là dentro in 31 anni. Chi come me ha ricevuto quella missiva si sente già licenziato. Ho 48 anni e non ho idea di come potrò trovare una nuova occupazione. Chi ha deciso i tagli lo ha fatto senza nemmeno valutare i carichi familiari».

Lì accanto Veronica Colnaghi estrae dalla borsa un pensiero scritto dalla figlia 13enne. C’è scritto: «Rivoglio la mia mamma. Odio tutte quelle persone che l’hanno fatta stare male. È come se non ci fosse, a casa fatica a rispondere e a parlare. Io non la voglio più vedere così sofferente, voglio vederla sorridere e giocare con me come ai vecchi tempi. Non voglio perdere il nostro rapporto a causa di persone che non hanno pensato due volte a quello che stavano facendo. Lei si deve mettere in testa che non è colpa sua, mia mamma il suo lavoro lo ha sempre fatto».

marco.dozio@ilgiorno.net