Monza, 17 febbraio 2014 - La burocrazia uccide la speranza di trovare una cura contro la leucemia infantile. E’ il rigore amministrativo che ha bloccato un progetto all’avanguardia che già nel suo nome — Childhope, ovvero una speranza per i bambini — avrebbe potuto indirizzare verso una nuova strada terapeutica. E invece, visto che il laboratorio francese — unico in Europa in grado di realizzare il «farmaco» con cui entrare nella fase sperimentale — «non è in possesso della certificazione GMP (Good manufacturing product)» come ha laconicamente risposto l’Agenzia italiana del farmaco ad Andrea Biondi, direttore della Pediatria dell’ospedale San Gerardo di Monza. Avrebbe dovuto essere uno dei 10 centri europei (unico in Italia) a portare avanti la ricerca su questa strategia terapeutica che in America ha già dato risultati positivi sui piccoli pazienti. In sostanza il laboratorio francese non rispetta — da un punto di vista amministrativo — i requisiti italiani: la Francia è l’unica nazione che non distingue tra i centri accademici e le strutture con certificazione come la cell factory del San Gerardo.

Mentre «bisognerebbe guardare i contenuti — denuncia il professor Biondi -. Inghilterra e Germania, due Paesi non meno rigorosi di noi, anzi forse di più, hanno affrontato il problema riuscendo ad ottenere l’approvazione del protocollo. Loro sono partiti con successo già su alcuni bambini mentre noi siamo fermi, ancora nella fase complessa di interazione con i nostri enti regolatori (Agenzia italiana del farmaco e Istituto superiore di sanità, ndr)». E’ mortificato ma non demoralizzato Andrea Biondi: «Nel 2006 la Comunità europea aveva finanziato con 5 milioni di euro il progetto — ricostruisce il professore —. In cinque anni abbiamo dimostrato come sia possibile manipolare i linfociti rendendoli delle frecce in grado di uccidere con grande efficacia le cellule leucemiche di tipo linfoblastico B e di stimolare la risposta immunitaria contro la malattia».

Certificata la fattibilità, l’efficacia e la sicurezza nei modelli animali, bisognava «arrivare alla realtà del letto dei nostri piccoli pazienti per dare vita a una speranza per quei casi ad altissimo rischio di ricaduta post trapianto per i quali la possibilità di morire di leucemia è quasi una condanna». Qui inizia il calvario. Due anni fa «avremmo potuto avere in mano la stessa arma biologica che in America ha fatto guarire una bimba con queste cellule immunitarie “riprogrammate”». Certo, «in un momento dove si vive la frustrazione di tante storie legate alle cellule lavorate per farle diventare dei farmaci - chiarisce Biondi — occorre la massima trasparenza, il massimo controllo e il massimo rigore. Ma quando la barriera è solo burocratica e non nei contenuti e sai che c’è una strada per andare oltre, allora non si può perdere tempo e buttar via cinque anni di durissimo lavoro».

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