Veduggio con Colzano (Monza e Brianza), 16 febbraio 2014 - Per due volte, nelle ultime settimane, si era presentato al pronto soccorso dell’ospedale San Gerardo di Monza per i problemi psichiatrici di cui soffriva da oltre 20 anni. I medici, che non lo avevano in cura stabilmente (perché era seguito dal Centro psicosociale di Carate Brianza) dopo averlo visitato lo hanno rimandato a casa non riscontrando particolari patologie o segni di pericolosità da indurli a trattenerlo nel reparto di igiene mentale. Giuseppe La Mendola aveva capito che qualcosa nelle ultime settimane era cambiato. Quella malattia mentale di cui soffriva da due decenni non la gestiva più, era definitivamente fuori controllo. Nelle ultime settimane usciva meno. Al bar e in paese lo si vedeva sempre più di rado.

Quella del duplice omicidio di San Valentino è stata una richiesta di aiuto inascoltata ma che nessuno poteva prevedere. Degenerata in un’escalation di assurda e immotivata violenza conclusa con la strage dei suoi genitori nel soggiorno di casa. Alla base dell’aggressione forse nemmeno una vera e propria lite con i suoi cari. Non un diverbio, non uno screzio. Nemmeno le richieste di soldi per giocare alle macchinette. Solo una voce dentro la testa che ha fatto scattare qualcosa in quell’uomo robusto, alto un metro e settanta che negli ultimi anni anche a causa delle medicine era un po’ imbolsito.

Una di quelle voci che spesso gli turbavano la mente e gli ottenebravano i pensieri, di cui raccontava ai medici e agli psichiatri che lo seguivano al Cps besanese. Un sussurro interno che non gli avrebbe però ordinato direttamente di fare del male ai suoi genitori, ma che lo avrebbe indotto ad afferrare un pesante vaso di cristallo - una delle suppellettili dell’ordinato e ben curato appartamento di via Dante 10 - e accanirsi prima contro il padre e poi contro la madre lasciandoli esamini sul pavimento del soggiorno di casa.

Numerosi i colpi alla testa e al viso, inferti con violenza contro il padre Vincenzo, classe 1939, siciliano d’origine, ma da tanti anni in Brianza prima come operaio alla Fontana, ormai in pensione. Stessa sorte anche per la moglie Angelina Incannella, 79 anni, casalinga, tutta dedita all’amato consorte e all’unico figlio. Una donna di bassa statura e minuta nel fisico, che non ha avuto scampo sotto i colpi inferti al capo dalla furia cieca del figlio. Le prime avvisaglie della malattia mentale di Giuseppe La Mendola si erano manifestate in forma leggera. I primi segnali non gli impedivano di condurre una vita del tutto normale.

Guidava l’automobile (lo sfizio anche per un breve periodo di una Mercedes cabrio), aveva anche un lavoro in un supermercato del Lecchese sempre seguito dagli specialisti di Carate. Anche l’aspetto di Giuseppe era quello di un uomo normale, tranquillo, che mai prima di venerdì era stato violento o aggressivo. Con il passare degli anni e con l’aggravarsi della malattia mentale, il suo stato era stato certificato garantendogli un reddito. Una pensione d’invalidità, oltre a quelle che percepivano i suoi genitori che permetteva al nucleo familiare di avere un tenore di vita dignitoso. 

Una tranquillità casalinga che sempre più spesso veniva turbata dalle crisi del figlio Giuseppe. Fino a quella di venerdì sera, quando una voce nella testa del 41enne lo ha fatto reagire violentemente uccidendo con un vaso di cristallo gli anziani genitori. Unico momento di lucidità, chiamare il 112 e aspettare l’arrivo dei carabinieri, confessando l’omicidio e consegnandosi agli uomini dell’Arma.