Camparada, 28 ottobre 2013 - Nella cascina Masciocco sembra che il tempo si sia fermato. È la stessa di cento anni fa: con la chiesa al centro dei due cortili, le case di ringhiera con gli stessi mattoni e le stesse travi e i fienili che però ora sono dismessi. È in via Resegone 26, nella campagna brianzola tra Camparada, Correzzana e Lesmo, contornata dai campi e dalla colline.

Fino a 60 anni fa era il regno dei «ruè» (trasportatori di letame), dei contadini precursori della raccolta differenziata dei rifiuti. Attività oggi organizzata a livello industriale all’insegna dell’ecologicamente corretto. Gli abitanti del Masciocco la facevano per necessità. I più anziani delle famiglie Visconti, Brambilla, Terenghi e Consonni a tarda sera partivano per Milano con i carri trainati da cavalli e tornavano il mattino dopo carichi dei rifiuti della grande città. Soprattutto con quelli del Verzee, il variopinto vecchio mercato alimentare milanese.

Li scaricavano sull’aia dove separavano quelli alimentari da quelli secchi. «Facevano la cernita in quel locale lì, dietro la chiesa, dove adesso ci sono i box», ricorda dall’alto dei suoi 83 anni Natalina Cazzaniga, seduta su una seggiola sotto il portico davanti all’uscio di casa. Si è trasferita in cascina quando si è sposata poco più che ventenne. Qui ha cresciuto i 4 figli: «Ho sei nipoti e un pronipote», dice contenta.

In cascina erano le donne a separare i rifiuti. Si recuperava tutto quanto era possibile: stracci, ferro e, con l’avvento del consumismo nel primo dopoguerra, anche i punti dei premi per corrispondenza delle grandi aziende alimentari. Si compilavano le schede direttamente nel cortile e si mettevano nella buca delle lettere per ricevere i pacchi con dentro piatti, posate o caffettiere. Con gli scarti biologici si facevano i «derruc», cumuli di rifiuti mischiati al letame delle stalle. Il risultato del compostaggio (il «compost» di oggi) veniva venduto per concimare gli orti o buttato nei campi dietro la cascina di proprietà degli stessi contadini. Metalli e stracci li ritiravano rigattieri e straccivendoli. Non si buttava niente. «Era una grande casa - spiega la signora Natalina – Ci si aiutava gli uni con gli altri. Tutte le famiglie lavoravano i campi e tenevano galline, mucche, cavalli e asini. I fienili sono ancora lì. I bagni erano fuori dalle abitazioni». L’associazione Amici del Masciocco ha tenuta viva la cascina con tutte le sue tradizioni e i suoi riti. Sono quasi cento le persone di Lesmo, Camparada e Correzzana che se ne occupano, guidati dal presidente Davide Ravasi, da Roberto Beretta, anima del sodalizio, e Adolfo Crippa, volontario tuttofare.

Anno dopo anno curano questo luogo per molti versi meraviglioso e carico di storia. A metà agosto organizzano una settimana di festa con balli e canti e più tardi la grande mangiata di «casseoula»: «Con il ricavato aiutiamo associazioni come la Lega del Filo d’Oro di Lesmo», racconta Rinaldo Rigamonti, uno degli abitanti del Masciocco, nonché volontario. Lui ha in mano le chiavi della chiesa, cuore della cascina, restaurata dagli Amici del Masciocco. In via Resegone il tempo si è come fermato. Gli abitanti non hanno fretta che corra troppo. Sotto il portico siedono le donne più anziane. Davanti all’uscio di casa di Natalina, c’è di guardia una piccola statua della Madonna: «È lì da più di 50 anni, sempre nello stesso posto. Ci protegge».

di Antonio Caccamo

antonio.caccamo@ilgiorno.net