di Rossana Brambilla

Monza, 11 maggio 2013 — Lui è Alexander, ha 16 anni, pratica Muay Tay, frequenta ragioneria e nel pomeriggio si diletta a suonare. Lei è Ester, 16 anni, studia lingue straniere e sta pensando di riprendere le lezioni di danza che ha dovuto interrompere per dedicarsi alla scuola, alle spalle un passato di nove anni come ballerina. Due ragazzi sensibili, estroversi, gentili. Adolescenti che si affacciano al mondo degli adulti con coscienza e responsabilità. Studiano diligentemente e non bevono superalcolici. Abbiamo scelto loro per compiere la nostra inchiesta. Siamo andati con in alcuni bar della città per verificare che, a una loro ordinazione di cocktail alcolici, seguisse la richiesta, da parte dei baristi, dei documenti di identità.

Le norme stabiliscono infatti il divieto di somministrazione di bevande alcoliche ai minori di 18 anni. I titolari di esercizi pubblici sono tenuti pertanto, a rispettare il limite della maggiore età nel caso di vendita di bevande alcoliche, con l’obbligo di richiesta del documento. Insomma, la carta di identità va mostrata ad ogni ordinazione fatta da un giovane.

Abbiamo optato per una fascia oraria pomeridiana, per evitare il sovraffollamento dei locali. Alexander ed Ester, sono entrati in tre bar della città dalle 14 alle 15.30. Dapprima da soli, poi in nostra compagnia. Ci siamo spostati a piedi tra le vie del centro, a pochi passi dal ponte dei Leoni. Alle 14 siamo entrati nel primo locale.

Vista l’ora i tavoli erano tutti liberi, poche persone in piedi. I due ragazzi si sono avvicinati al bancone e hanno ordinato due birre. La barista ha chiesto loro se prediligevano il bicchiere di plastica o quello di vetro. Ma nulla, relativamente a età e documenti. Alexander ed Ester hanno ringraziato, pagato, e ordinato diligentemente, altre due bevande, questa volta analcoliche e persino light.

Qualche passo all’aria aperta e siamo entrati in un secondo locale. Questa volta ho accompagnato, fin da subito, personalmente i giovani, lasciando che fossero però loro a ordinare. Con remore hanno chiesto al barista due caffè, un tè al limone e uno spritz, specificando che lo sprizt era per Alexander. Il ragazzo dietro il banco ha preso l’ordinazione e, dopo pochi minuti ha portato le consumazioni al nostro tavolo. Ha appoggiato i caffè davanti a noi, maggiorenni da diversi anni, il tè vicino al braccio di Ester, e servito il cocktail alcolico al sedicenne, senza il minimo dubbio. Il giro dei bicchieri è doveroso. Alexander sorseggia il suo caffè macchiato, noi ci dividiamo lo spritz. Nel terzo locale le cose non cambiano di molto. Sono ormai le 15, un’ora insolita per ordinare alcolici, soprattutto se la domanda arriva da ragazzi palesemente minorenni, non accompagnati da genitori. Entrano da soli.

Ordinano un caffè, un dolce e un americano, un drink composto da Campari, Martini e seltz. Il barista inizialmente si confonde e porta al tavolo un caffè americano, una tazza ossia, con un espresso e, a parte, dell’acqua calda con cui allungarlo. Il suo errore è più che giustificato, vista l’ora e visto il target dei suoi clienti. Ma una volta fatta notare l’incomprensione, rimedia subito, omaggiando i ragazzi e noi, entrati successivamente, del caffè e posizionando il cocktail superalcolico davanti a Ester, accompagnato da un piccolo vassoio di patatine. Nemmeno qui vengono chiesti documenti.

Amareggiati, prima di salutare i ragazzi abbiamo scambiato alcune idee sulla nostra esperienza. Durante l’inchiesta abbiamo scelto dei drink dalla gradazione alcolica sempre maggiore. Birra, spritz e americano. E in tutti e tre i casi il problema dell’età dei clienti non è stato preso in considerazione dai baristi. I ragazzi non hanno bevuto, ogni volta hanno optato per bevande analcoliche.