Giussano, 6 febbraio 2013 - Parlare gli è servito forse più che altro a tacitare i fantasmi annidati nella sua coscienza: "Ho deciso di collaborare nell’interesse di mia moglie e dei miei figli, che sono le uniche persone a cui sono legato... posso parlare di 18 anni di ’ndrangheta, nel senso che è da 18 anni che sono affiliato, e di numerose vicende criminali che coinvolgono me e altre persone". I giudici di Milano non hanno riconosciuto a suo favore l’attenuante di aver deciso di collaborare con la giustizia e alla fine hanno aggiunto 7 anni alla condanna a 16 anni di reclusione che per lui aveva chiesto la stessa pubblica accusa. Risultato? Michael Panajia, il pentito numero due della ’ndrangheta in salsa brianzola, ex caposocietà della locale di Giussano, in carcere dovrà passarci 23 anni.

Decisamente meglio era andata invece nel giugno 2011 al suo ex padrino, quell’Antonino Belnome che con la decisione, primo fra tutti, di rompere il muro di omertà si portò a casa una condanna a 11 anni e sei mesi per lo stesso omicidio. Riavvolgiamo il nastro. Tutto si consuma il 14 luglio del 2008, quando davanti a un bar di San Vittore Olona, nel Legnanese, un commando costituito da Antonino Belnome, 38 anni, enfant prodige della ’ndrangheta incaricato dal boss calabrese Vincenzo Gallace, va a uccidere il boss della ’ndrangheta in Lombardia: la vita di Carmelo Novella, reo di aver coltivato mire autonomiste dalla casa madre calabrese, finisce in una pozza di sangue. Ad accompagnarlo nella missione c’è anche Michael Panajia, 38 anni, un uomo d’azione, killer professionista utilizzato (stando alle sue stesse dichiarazioni) in almeno tre omicidi. Belnome e Panajia chiedono un cappuccino al bar frequentato dalla vittima, poi, non appena l’ignaro Novella si volta, gli scaricano addosso il caricatore delle loro pistole.

Arrestato dai carabinieri di Monza nell’operazione Infinito il 13 luglio del 2010, Belnome decide di fare una cosa quasi inedita in seno a un’organizzazione che conta pochissimi pentiti: scrive alla Procura di Milano e comincia a vuotare il sacco davanti al procuratore aggiunto Ilda Boccassini. Fa anche trovare un cadavere, quello di Antonio Tedesco detto l’Americano, trucidato il 27 aprile 2009 in un finto rito di iniziazione nel maneggio di Bregnano.

Racconta poi dell’omicidio di Rocco Stagno, ex capo della "maggiore" di Seregno, fatto fuori dai famigliari di Rocco Cristello, boss di Giussano ucciso il 28 marzo del 2008 a Verano Brianza. Rocco Stagno viene ammazzato il 29 marzo 2009 in una porcilaia, a Bernate Ticino, e il suo cadavere - che infatti non sarà mai ritrovato - viene dato in pasto ai maiali: un piccolo "scoop" proprio de Il Giorno, che il 22 marzo 2011 anticipa la verità su questi due casi di lupara bianca pochi mesi prima che venga resa di pubblico dominio dagli inquirenti. Ed è proprio riannodando le fila di questi quattro omicidi - in ordine cronologico Rocco Cristello, Carmelo Novella, Rocco Stagno e Antonio Tedesco — che la Corte di Assise di Milano è arrivata ora, sulla scorta anche delle confessioni (con tanto di nomi e cognomi) di Belnome e Panajia, a emettere le pesanti condanne dell’altra sera: 15 ergastoli, a "scamparla" c’è solo Amedeo Giuseppe Tedesco, che pure aveva aiutato Belnome e Panajia nell’esecuzione dell’omicidio Novella, per il quale i giudici non hanno accolto la richiesta di ergastolo ma lo hanno condannato a 24 anni con le attenuanti generiche.

Michael Panajia - almeno in primo grado - si è beccato invece il doppio della pena del suo ex capo Antonio Belnome. Un uomo ombra, lo aveva definito un’ordinanza firmata dal gip Andrea Ghinetti, "del tutto sconosciuto agli inquirenti", anche perché "faceva vita piuttosto ritirata, non frequentava mai gli altri affiliati al di fuori delle periodiche riunioni di ’ndrangheta", ma che "ha finalmente vinto le ultime interiori resistenze raccontando con coerenza logica il proprio vissuto criminale".

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