di Dario Crippa

Monza, 19 luglio 2012 - È svanita nel nulla dal 9 luglio. Si chiama Parveen Ayesha, è pakistana, ha sedici anni,i capelli lunghi neri a incorniciarle il volto, un metro e 60 centimetri di statura, corporatura esile, appena una quarantina di chili di peso. Ufficialmente, quella mattina era uscita per andare a scuola, ai corsi di alfabetizzazione al Centro territoriale permanente della scuola Confalonieri di via San Martino. Pochi chilometri, dalla sua abitazione di via San Francesco alla scuola nel centro di Monza, che però Ayesha potrebbe non aver mai effettuato.

A scuola quella mattina nessuno, né professori né compagni, l’ha mai vista. Suo padre, Hussain Hjaib, 53 anni, in Italia da più di dieci anni dove lavora regolarmente come giardiniere, è disperato. Lui e la sua famiglia, amici e connazionali, hanno iniziato la sera stessa le ricerche. Suo figlio maggiore Bilal è andato personalmente a sporgere denuncia il mattino successivo alla stazione dei carabinieri. «Alle 12.30 non vedendola tornare a casa - dice il padre - mio figlio è andato a cercarla a scuola dove ha però scoperto che la ragazza non era mai arrivata. Abbiamo cominciato a cercarla dappertutto, in ospedali, al centro Mamma Rita...». Tre anni fa Hussain Hjaib aveva riunito a Monza la sua famiglia, moglie e sei figli, dai 20 ai 12 anni. Musulmani e tradizionalisti, «ma non siamo come quei pakistani di Brescia», mette le mani avanti Hussain facendo riferimento al caso Hina, la giovane pakistana uccisa dal padre perché voleva vivere all’occidentale.

Mentre racconta in un italiano stentato l’angoscia che dal giorno della scomparsa di Ayesha ha sconvolto la sua famiglia («non riusciamo neppure più a mangiare»), Hussain scoppia più volte in un pianto trattenuto, senza lacrime. Il quadro che si profila è tutt’altro che chiaro: la ragazza si esprimeva solo in urdu, lingua ufficiale del Pakistan, e non parlava una parola di italiano, nonostante avesse frequentato per due anni la scuola media Bellani e si fosse iscritta quest’anno, su consiglio dei suoi stessi professori, ai corsi di alfabetizzazione del Ctp.

A detta di suo padre non aveva amici, tanto meno maschi, «ma quella mattina una negoziante ha detto di averla vista in compagnia di un ragazzo straniero» racconta. Guardava solo un po’ di tv («film indiani soprattutto»), non sapeva usare internet come i fratelli, «se ne stava lì ferma e zitta per ore nella sua stanza, non protestava, non voleva soldi, non chiedeva niente». La mattina della scomparsa indossava una camicia lunga rosa scuro a maniche corte, pantaloni e sciarpa marrone a coprire la testa. La sensazione degli inquirenti però è che quello di Ayesha sia stato un allontamento volontario, e non si esclude che possa aver trovato rifugio da qualcuno, forse un connazionale.

«È la quarta dei miei figli - racconta ancora Hussain -: volevo solo che trovasse un giorno un buon marito. In Italia non ci sono lavori adatti a una ragazza». Un marito magari scelto da papà, che stava organizzando il matrimonio della figlia più grande per dopo l’estate, «col figlio di un connazionale mio amico... ma senza imporre nulla: mia figlia ha potuto vedere la foto del ragazzo e contattarlo sul computer. Se non le fosse piaciuto, avrebbe potuto rifiutarsi di sposarlo e gliene avrei trovato un altro...».

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