di Laura Ballabio 

Lissone, 6 luglio 2012 — È vittima della burocrazia, delle pastoie burocratiche all’italiana che da oltre cinque mesi non gli permettono di iniziare un importante lavoro in Svizzera o di poter andare in Australia per riabbracciare, dopo oltre otto anni di lontananza, la sua famiglia. Protagonista di una storia che ha dell’incredibile è Saad Altarazi, uno studente 33enne di origine palestinese.

È in Italia dal 2004, dove grazie ad un permesso studio, ha conseguito una laurea in Scienze e Tecnologie Orafe presso l’Università Milano Bicocca e frequentato poi il master in Ingegneria nel settore orafo presso il Politecnico di Torino, nella sede di Alessandria. «Sono uno studente palestinese di religione cristiana della chiesa Greco-Ortodossa, che sono stato costretto a lasciare Gaza - racconta -. Negli ultimi otto anni ho pagato le tasse universitarie, mantenendomi grazie a un lavoro part-time presso la Fondazione la Vincenziana di Lissone, dove vivo dal 2005 e svolgo servizi di guardiano notturno».

In virtù della sua origine palestinese nel 2008 Saad Altarazi ha presentato allo Stato italiano una domanda di asilo politico. Richiesta accolta nell’autunno dello stesso anno che gli ha permesso di ottenere lo status di rifugiato politico: una condizione che certifica come una persona viene perseguitata nel paese di cui possiede la cittadinanza e che quindi non può farvi ritorno a causa di motivi legati a razza, religione, appartenenza sociale o politica. Tra i «benefici» concessi ai rifugiati politici c’è anche un documento, una sorta di passaporto, che però non garantisce piena autonomia. Proprio per questo motivo lo studente palestinese ha presentato nel settembre 2010 alla Prefettura di Milano una domanda per ottenere la cittadinanza italiana.

Ma la questione si complica. «A un anno dalla domanda, ho ricevuto comunicazione dalla Prefettura da cui si deduce che per concedere la cittadinanza si tiene conto non da quanti anni sono in Italia (dal 2004) ma della data in cui ho ricevuto lo status di rifugiato politico, nel mio caso il 6 novembre 2008, e solamente da tale data partono i cinque anni dopo i quali viene concessa la cittadinanza. Ho fatto ricorso al Tar, e ho vinto. Era aprile e il mio avvocato ha inviato tutti i documenti alla Prefettura di Milano: ad oggi non ho ricevuto risposta».

Nei suoi primi otto anni in Italia lo studente ha lavorato anche in Università, facendosi conoscere nel settore della lavorazione dei metalli preziosi, tanto da essere chiamato a partecipare a numerose conferenze in Italia e all’estero. La sua professionalità e la sua preparazione non possono però far niente contro il muro di gomma della burocrazia italiana. Il numero della sua pratica è stato «cancellato» da una sentenza del Tar e nessuno riesce a fornirgli spiegazioni su dove, come o quando potrà diventare un cittadino italiano a tutti gli effetti. «Ho bussato a tutte le porte: sono disposto a parlare con il Prefetto di Milano, di Monza, con il sindaco Pisapia o con chiunque possa aiutarmi a sbloccare questa situazione. Ho scritto al presidente della Repubblica ma mi ha risposto la sua segreteria che di queste pratiche si occupa il ministero dell’Interno».