Monza, 15 gennaio 2012 - «Erano circa le 4, 4.30 del pomeriggio, mia moglie è venuta qua in soggiorno e ha detto di aver sentito un rumore strano. No, non un vero e proprio urlo, come un rantolo, un colpo di tosse. È stata in caserma, l’ha raccontato ai carabinieri». Gabriel Gigica venerdì pomeriggio era a casa con la moglie e i figli. Il suo appartamento è accanto a quello di Alì Yousuf Khan, lo zio di Sharna, la 18enne trovata uccisa proprio in quel monolocale al primo piano della corte al numero 12 di via D’Annunzio.

Di mestiere Gabriel fa il piastrellista ma in questo periodo non c’è lavoro. Anche l’altro giorno era in casa: «Mio figlio stava guardando i cartoni animati con il volume della televisione alto e qui in sala non si è sentito nulla. Mia moglie era nell’altra stanza e ha detto di aver sentito qualcosa».

Della vittima, però, non sapeva nulla. Mai vista. Anche se le porte dei due appartamenti sono una accanto all’altra. Yousuf, invece, lo conosceva bene, ma «il suo nome non lo ricordo perché ci chiamiamo “capo” - racconta Gabriel, romeno da una vita trapiantato qui a Monza -. Lui è musulmano e a dicembre mi ha detto che avrebbe lavorato a Natale, tanto la moglie e la figlia erano in Bangladesh e almeno guadagnava un po’ di soldi».

Yousuf aveva comprato il monolocale per 95mila euro, ha fatto il mutuo. Tutti lo descrivono come «un pezzo di pane». «È una persona perbene, non è proprio il tipo che farebbe una cosa del genere», assicura Gabriel. Mai un litigio, mai un problema.

Una famiglia discreta. Pure Sharna era riservata. Due vicine che abitano al piano terra sono riuscite a incrociarla nel cortile: «È stato domenica scorsa, è uscita per stendere il bucato - ricordano -. Una ragazza minuta, graziosa, con una lunga treccia nera e vestita con gli abiti tradizionali del Bangladesh». La panettiera che ha il negozio proprio davanti al passo carraio della casa di corte è convinta di averla vista qualche volta: «È venuta a prendere il pane ma era una cliente come un’altra. Una bella ragazza, poverina». I clienti entrano ed escono. È così tutti i giorni. E «chi è stato a uccidere è uscito dal condominio con tutta tranquillità, altrimenti uno che scappa di corsa lo noti subito, ti salta all’occhio: viene la pelle d’oca».

Anche se qui in questa via «almeno negli ultimi trent’anni non è mai successo nulla - ci tiene a precisare Natale Brambilla -. È sempre stata una zona tranquilla». Certo, «è migliorata molto rispetto al passato quando c’erano i problemi legati alle prime grandi ondate di immigrazione - continua Alessandro Amico -. Questo episodio non è una questione di ordine pubblico e nemmeno un fatto dovuto alla presenza di stranieri, sono tutta brava gente, come in altre parti della città. San Rocco non è più una zona depressa e degradata come poteva esserlo in passato».

È su questo che batte anche Pietro Zonca, presidente della Circoscrizione Tre: «Siamo davanti a un fatto increscioso, un crimine sbagliato sotto tutti i punti di vista che però sarebbe potuto accadere in qualsiasi altra zona della città, a Triante come sotto l’Arengario. È la società in generale che ha qualche problema. E in questo momento è bene lasciare agli inquirenti la tranquillità per scoprire chi è stato e il movente». Ma, ribadisce Zonca, «non torniamo a dire che San Rocco è un Bronx e un ghetto abitato da stranieri». Certo, a San Rocco vive il 2% di stranieri in più rispetto alla media cittadina e «in una Circoscrizione di 13.400 abitanti il 12% di stranieri si vede molto di più rispetto a una zona come la Quattro (Triante, San Fruttuoso, San Carlo e San Giuseppe, ndr) con il 10% di stranieri su una popolazione di oltre 30mila persone, che numericamente è di più».