Agrate Brianza, 2 gennaio 2012 - Ventun giorni passati sul tetto della loro fabbrica, un accordo sindacale strappato tre anni fa col sudore. Ora per gli operai dell’ex fabbrica Carlo Colombo di Agrate Brianza quelle lotte e quel sacrificio potrebbero rivelarsi inutili. Scaduta la cassa integrazione l’azienda ha pronte 41 lettere di licenziamento. Così la tensione è tornata a salire come nei giorni più caldi.

Dopo il fallimento dell’incontro sindacale alla prefettura di Monza, venerdì i cassintegrati hanno occupato per dodici ore la sede legale della società, uno dei colossi mondiali della lavorazione del rame, di via Crespi. Sono così riusciti ad imporre la sospensione dei licenziamenti e la riapertura della trattativa. Che vede al primo punto il rinnovo della cassa integrazione in deroga “incondizionato”, ossia senza la firma di alcun impegno dei dipendenti a dimettersi alla scadenza della cassa.

«L’azienda non è stata capace di ricollocare i suoi dipendenti, come sancito dagli accordi sindacali fatti nel 2008 e nel 2010 dopo la decisione di spostare la produzione vicino a Cremona. Per liberarsi del problema non può vincolare la richiesta della cassa integrazione all’autolicenziamento degli operai», dice Antonio Castagnoli, sindacalista della Fiom Brianza.

Rimane il clima di tensione. Nonostante la tregua. I dirigenti della Carlo Colombo hanno sottoscritto un accordo con la Fiom in cui si impegnano a sospendere le lettere di licenziamento per 41 dei 45 cassintegrati, a ritirare la querela contro gli occupanti della sua sede e ad incontrare nuovamente i sindacati martedì o mercoledì in Regione: «Oggi invece è stata convocata un’assemblea nella sede della Cgil di Monza», fa sapere Castagnoli.
L’attesa è per quello che succederà: «Siamo pronti ad impugnare i licenziamenti - avverte Castagnoli - Il rinnovo della cassa integrazione non può essere subordinato alle dimissioni. L’azienda sta disattendendo gli accordi presi con i lavoratori. Ha cercato di vincolare il nuovo anno di cassa integrazione alla firma di una lettera liberatoria, entro il 31 dicembre, nella quale doveva essere esplicita la volontà dei dipendenti a lasciare il posto di lavoro». Per il sindacato è una proposta inaccettabile.