Desio, 18 novembre 2011 - Sottovalutare una pista, un particolare, un dettaglio, potrebbe rivelarsi un errore imperdonabile. Per questo, i carabinieri della compagnia di Desio, guidati dal capitano Cataldo Pantaleo, e del nucleo investigativo di Monza, comandati dal tenente colonnello Michele Piras, non stanno lasciando nulla di intentato. Indagini ancora a 360 gradi, ormai a quattro giorni dalla scarica di colpi calibro 7,65 che ha investito Paolo Vivacqua. Perché ogni scenario potrebbe compenetrarsi con l’altro, ogni possibile movente potrebbe incrociarsi con l’altro. Perché troppi erano gli interessi, le attività, le conoscenze, i fronti familiari e lavorativi aperti dall’uomo.

Dunque, c’è ancora da lavorare e gli uomini dell’Arma, coordinati dal sostituto procuratore Donata Costa, lo stanno facendo con il massimo sforzo investigativo, con l’utilizzo di tutte le strumentazioni in proprio possesso. Ieri mattina, intanto, si è svolta l’autopsia, il cui esito sarà noto solo nei prossimi giorni. Poi, i funerali, che dovrebbero svolgersi a Desio, mentre la salma verrà probabilmente trasferita a Ravanusa. Dall’esame sul cadavere potrà venire fuori un’indicazione precisa sul momento dell’esecuzione (c’è un «buco» nelle ultime ore di vita dell’imprenditore, trovato alle 15.30 dalla sua compagna ma probabilmente ammazzato ben prima), su quanti proiettili lo hanno colpito.

Dagli esiti dell’esame balistico, invece, in base al posizionamento degli otto bossoli trovati dai carabinieri nel piccolo ufficio sotto i portici di via Bramante da Urbino, a San Giorgio, si potrà avere la conferma, o meno, sull’ipotesi subito fatta dagli inquirenti, di una sola mano che ha sparato. Dopo aver sentito uno per uno tutti coloro che potevano conoscere Vivacqua, familiari, amici, colleghi, gli inquirenti stanno ricostruendo i suoi ultimi giorni, i suoi ultimi contatti, gli affari che aveva in corso attraverso le sue società controllate più o meno direttamente.


«Un quadro davvero complesso», è quanto trapela. Un quadro a tinte forti, come lo erano le azioni intraprese dall’imprenditore nella sua carriera lavorativa, sempre più ampie, spericolate, coraggiose. Intuizioni, spesso sul filo e anche oltre del lecito, viste le diverse inchieste per reati fiscali in cui è finito dentro, che gli avevano permesso di accumulare una ricchezza spropositata. Ma anche, probabilmente, qualche debito.

Perché se è vero che spendeva (Ferrari, elicottero) e spandeva (tutte le varie elargizioni benefiche, note e meno note), è anche vero che a qualcuno potrebbe avere detto «no, per te non c’è niente», e a qualcun’altro, vantava o diceva di vantare crediti, potrebbe aver risposto ugualmente picche. A Desio, in Brianza, o in Sicilia. Insomma, una gestione del patrimonio che potrebbe aver scontentato pesantemente qualcuno (un parente? un socio o un ex socio?) e una gestione degli affari talmente spregiudicata che potrebbe aver infastidito qualcun altro, in una delle zone di prepotente competenza dell’imprenditore. Di colui che era nato dal nulla, che a Ravanusa sbarcava il lunario faticando tutto il giorno come operaio o carrozziere, e che poi nella ricca Brianza era diventato un «paperone».