Martinelli: "Contro tutti, al servizio della verità: vi racconto il mio cinema"

Dai comunisti alla Lega "alle cantanti che fanno film": intervista senza peli sulla lingua al regista Renzo Martinelli

Il regista Renzo Martinelli

Il regista Renzo Martinelli

Cesano Maderno, 26 giugno 2016 - Era ancora un ragazzo quando uscì nelle sale Effetto notte di Truffaut. "E innamorandomi di quel film, come tanti della mia generazione, decisi che un giorno avrei voluto fare il regista".Ci è voluta però molta gavetta, anni a girare documentari, spot pubblicitari, video musicali. Ma alla fine, Renzo Martinelli da Cesano Maderno – già 10 film all’attivo - è diventato pure lui un cineasta. Massacrato spesso dalla critica, discusso, rompiscatole, ma un cineasta.

Partiamo dall’inizio. "Nasco a Seveso il 4 ottobre 1948, ma cresco a Cesano Maderno".

Cosa faceva la sua famiglia? "Papà era falegname, mamma faceva le pulizie, ho un fratello più piccolo".

Origini umili. "Mi hanno insegnato a essere consapevole delle mie radici e mi hanno costretto a lavorare. Sempre. D’estate facevo il cameriere in un ristorante di Varedo, e dopo la maggiore età sono diventato istruttore di guida per pagarmi gli studi...".

Gli studi li fa a Milano. "Tre lauree: Lingue e letterature straniere, Comunicazione sociale e Scienze politiche".

E poi? "Ho fatto il documentarista col grande direttore della fotografia Lamberto Caimi: con lui ho imparato sul campo a fare il regista...".

Cosa significa? "Oggi tutti fanno i registi, anche comici, cantanti, mignotte... ma in pochi conoscono la tecnica, occuparsene – curiosa eredità del Neorealismo - è considerato plebeo, quando invece pittori come Vermeeer o il Perugino impastavamo personalmente i colori: questo era essere un Maestro e questo ho sempre tentato di essere io. La mia fortuna è stata quella di andare a bottega come nel Rinascimento. Un aneddoto?".

Prego. "Una volta sul set feci una scommessa con l’attore Harvey Keitel: avrei girato dieci primi piani diversi di lui senza muovere la macchina. Con suo grande stupore (ride) dovette darmi i 100 euro in palio!".

Vantaggi di questo modo di girare? "Risparmi decine di migliaia di euro... i miei colleghi danno il primo ciak di pomeriggio, prima devono attendere che il set sia preparato. Io invece faccio tutto da solo e inizio alle 8 di mattina. E anche con gli attori...".

Cosa? "Il tipico regista italiano sta sotto un tendone davanti a uno schermo a 50 metri di distanza dal set, e per ogni scena l’aiuto regista deve andare a dare istruzioni all’attore... Risultato? Perdi ogni volta in adrenalina. Se invece conosci bene la tecnica, hai un rapporto più carnale con l’attore, non ti sente distante, con spreco di energie ed emozioni continuo... insomma, quando si gira io sono in macchina, vicino al set".

Si dovrebbe fare sempre così?

"I più grandi registi, da Kubrick a Spielberg, stanno in macchina”.

Quali sono i suoi modelli? "Oliver Stone, autore di film di grosso impegno civile e coraggio".

In Italia? "Il cinema civile di Rosi, Petri, Damiani. In tanti dopo il ‘68 pensavamo si potesse finalmente indagare anche con i film, c’era un grosso interesse sociale...".

E invece? "Poi però la paghi in sala. Un proverbio arabo dice che gli uomini somigliano al loro tempo più che ai loro padri. E oggi interessa solo l’immediato: io invece tento di affrontare momenti della storia di questo Paese".

Perché? "In settant’anni di Repubblica non c’è un solo episodio che non sia rimasto un mistero, in cui la verità non sia stata manipolata, da Portella della Ginestra alla strage di Piazza Fontana o Ustica. La ragion di Stato interviene sempre pesantemente. Borges, il grande scrittore argentino, diceva: “La storia è un atto di fede”. Ecco, credo che la forza maieutica del cinema invece possa avvicinare alla verità...".

Il 27 giugno ci sarà l’anniversario di un’altra strage, quella di Ustica (1980, un aereo si squarciò in volo, 81 morti). Lei gli ha dedicato il suo ultimo film, Ustica appunto. "Quando decido di lavorare a una storia faccio un lavoro di documentazione enorme, ho avuto la fortuna di conoscere il giudice Priore, che mi ha consegnato un dischetto con le 5mila pagine della sua sentenza. E mi resi conto che già a pagina 118 si parlava di pezzi di un caccia americano rinvenuti in mare che facevano pensare a una collisione in volo...".

Su quel disastro vennero fatte tre ipotesi: il cedimento strutturale dell’aereo, una bomba nella toilet, un missile francese che l’avrebbe colpito per errore. Lei ne avanza una quarta: un caccia americano che inseguiva un Mig libico... "Solo dopo 8 anni si andò a cercare nel fondale, la Dc aveva fatto in modo che non lo si facesse prima, ma si scoprì che qualcuno era già andato di nascosto a recuperare i rottami".

Lei ha toccato temi scottanti: le violenze partigiane, il Vajont, il delitto Moro, il terrorismo islamico... La critica spesso però l’ha demolita. "In Italia se non appartieni a una parrocchia, te la fanno pagare... ho subito critiche impietose e a tratti offensive".

Lei a quale parrocchia appartiene? "A nessuna... e non voto da anni. Cerco solo di fare film che mi interessano: con Porzûs sono andato contro i comunisti, con Vajont-La diga del disonore contro la Dc... Lo storico francese Marc Bloch diceva che il giudice e lo storico hanno un dovere in comune, “l’onesta sottomissione alla verità”. Il mio dovere di cineasta, come in Ustica, era di comunicare la verità che ho scoperto".

“Regista uscito dalla pubblicità” è uno dei marchi malevoli che le hanno affibbiato. "Anche perché col mio cinema cerco di far convivere impegno civile e spettacolarità e i critici non me lo perdonano".

Prima di approdare al cinema, è vero però che ha fatto tanta pubblicità... "E non me ne pento: l’ho fatto per 10 anni e ho imparato il lavoro di sintesi, un’esperienza che mi ha aiutato molto a curare l’immagine e il ritmo".

E... "Ho girato anche sigle televisive come La Notte Vola con Lorella Cuccarini e tanti video musicali, da Battiato ad Alice".

Divertente? "(ride) I Van Halen (gruppo hard rock, ndr) prima del ciak pretesero due casse di whisky!".

Dice che non apparteneva a nessuna parrocchia, però girò Barbarossa, film fortissimamente voluto dalla Lega Nord. "Me lo propose la Rai: mi incuriosiva fare un film d’azione con grandi scene di battaglia e accettai... tutto qui".

Non andò tanto bene. "In Italia fui massacrato, ma è stato il film che è stato venduto di più all’estero, 60 Paesi! Lì delle nostre polemiche non interessava niente".

Fece fare una comparsa anche a Umberto Bossi. "Compare in una scena da fermo, ma non ho mai avuto nessuna richiesta o intromissione, non mi è stato chiesto nemmeno di far recitare qualche raccomandato come accade quando c’è di messo un partito. Però...".

Però? "La Lega fagocitò quel film e fu un danno, perché scatenò critiche feroci".

Lei insegna anche cinema. Per fare un buon film, cosa conta di più: soggetto, sceneggiatura, attori? "Da una buona sceneggiatura può uscire un buon film, senza no... è la base di una macchina molto complessa in cui ti trovi a muovere molto denaro".

Quanto costano i suoi film? "In media, dai 3 ai 6 milioni di euro. Ma il confronto con altri Paesi è impietoso... Solo la scena della lotta con l’orso nel recente Revenant è costata 3 milioni di dollari, la stessa cifra che mi ci è voluta per girare tutto Ustica!".

Il suo attore feticcio? "Murray Abraham: a lui mi lega un’amicizia vera, affetto, mi invita spesso a New York a trovarlo... lavorare con lui è come guidare un purosangue, è talmente bravo che fa subito scene perfette. Con lui spesso basta un solo ciak... trovo stupido chi ne fa 200 per una scena, non puoi spremere un limone per ore".

Il film a cui è più legato? "Vajont, esperienza umana irripetibile. Quando andai la prima volta a Longarone, la gente aveva ostilità e rancore nei miei confronti. Quando però videro l’impegno che ci mettevo, le ore passate sul set, alla mattina cominciai a trovare cesti di frutta e salami davanti a casa".

E dopo il film? "Ebbi la folle idea di organizzare l’anteprima davanti alla diga del disastro, c’era una tensione da tagliare col coltello e migliaia di persone sedute lì davanti a vederlo. Andò bene. Oggi mi adorano e mi hanno anche dato la cittadinanza onoraria".

Progetti? "Mi piacerebbe fare un film sulla morte di Mussolini, altro evento su cui non è mai stata fatta luce. Ho già fatto uno studio approfondito scoprendo verità molto scomode, ma l’Italia è un Paese di pavidi... e per ora non trovo nessuno che mi appoggi. Intanto conto di farne comunque un libro".

La felicità per il regista Renzo Martinelli? "È il momento in cui vedi proiettato per la prima volta la tua pellicola, punto di arrivo di un percorso costato magari anni di lavoro, con la consapevolezza che il tuo film rimarrà nella storia. Con Piazza delle Cinque Lune, dedicato al caso Moro, andò così: contestato all’uscita, oggi è oggetto di studio nelle università".