Le storie di Brianza: Sapio e Cif Petroli, la morte al lavoro

1942 e 1952: nelle due aziende morirono complessivamente 9 persone dopo due esplosioni

L'incidente alla Cif Petroli del 1952, foto Archivio storico CGIL nazionale

L'incidente alla Cif Petroli del 1952, foto Archivio storico CGIL nazionale

Monza, 23 ottobre 2016 - Morire mentre si fa il proprio lavoro. Perché la paura a volte viene dal fuoco e in questo servizio andiamo a ripercorrere e raccontare due tragedie che fecero parecchia impressione sulle coscienze e sugli animi dei cittadini monzesi. Avvenute a metà del secolo scorso, strapparono diverse giovani vite ai propri affetti e alle proprie speranze.

MORTE ALLA SAPIO

Iniziamo dalla prima in ordine cronologico. È l’8 febbraio 1942. Nel cuore del pomeriggio - sono all’incirca le 16 - la città è scossa da una fortissima detonazione che scuote i vetri di parecchie case. Il fragore proviene da un edifici di via Silvio Pellico, una delle sedi dello stabilimento denominato Società Anonima Produzione Idrogeno e Ossigeno. In altre parole, si tratta della sede della Sapio, attiva a Monza fin dal 1922 nella produzione di gas tecnici e industriali. Lo scoppio provoca il crollo completo di una parte della fabbrica e lascia sotto le sue macerie la vita di due operai: Federico Sala, 32 anni, residente in via Amati 42, e Virginio Testa, 38 anni, casa in via Carlo Antonietti 7.

Un terzo operaio, Angelo Riva, 27 anni, fa appena in tempo a raggiungere la porta d’uscita e se la cava con ustioni di primo e secondo grado in varie parti del corpo. A provocare l’esplosione, lo scoppio di alcune bombole d’ossigeno, le cui alte fiamme avevano provocato appunto il crollo del fabbricato. Un dramma che sconvolse la città di Monza. I due cadaveri vennero trasportati nella sede principale della stessa Sapio, in via Torti, dove venne allestita la camera ardente. Ai funerali, a cui parteciparono centinaia di persone, presenziano anche arciprete, vicepodestà e ovviamente segretario del Fascio.

DISASTRO ALLA CIF PETROLI

Monza, 6 novembre 1952. un giovedì mattina - ore 7.45 circa - quando la città di Monza è squarciata dal fragore di alcune esplosioni e il cielo, fino all’altezza vertiginosa di decine e decine di metri, si ricopre di fiamme e fuliggine. È appena esplosa un’azienda, la Cif Petroli di via Aspromonte. A esplodere in particolare, alla Cif Petroli, sono cinque serbatoi, dopo quello che all’epoca fu definito il probabile cortocircuito di un serbatoio pieno di nafta.

Per le fiamme e il fumo provocati, vengono evacuati anche i detenuti della vicino carcere di via Mentana. Sul posto a spegnere le fiamme intervengono 150 pompieri da Milano e provincia. I testimoni, dopo l’esplosione, parlano di «fiamme viventi in fuga».Nell’incendio muoiono complessivamente sette persone. Non tutte assieme. Alcune moriranno anche nei giorni successivi in preda alle lancinanti ustioni aperte su tutto il loro corpo. I corpi degli ustionati, i vivi e i morti, vengono portati all’ospedale San Gerardo di Monza, il vecchio nosocomio ovviamente. Nel padiglione E si consuma il tragico rito della conta dei cadaveri.

«Nella terza saletta – ricorda il Corriere di Monza dell’epoca – stesi nei loro lettini i dieci ustionati sembravano assopiti... i volti gonfi e lividi come neonati deformi». Per ore famiglie distrutte dall’incertezza e dalla disperazione sciamano davanti al padiglione E, un grumo di speranze stretto in tasca, i cuori gelati dalla preoccupazione. E, per chi sarà toccato da un disastro che farà a lungo discutere, dalla disperazione. Nella triste conta dei morti alla Cif Petroli finiscono l’autista Pericle Bonini, 40 anni; l’autista Ambrogio Longoni, 46 anni; Giacomo Celotti, 43 anni, autista pure lui; gli operai Enrico Frigerio, 31 anni, Luigi Guenzati, 42 anni e Giovanni Fornari, 53 anni. L’ultimo a morire, cinque giorni dopo l’esplosione, è il povero Primo Michelin, 52 anni, cui inutilmente tentano di impiantare un rene artificiale fatto arrivare appositamente da Genova.

Tra i feriti, su registra anche un bambino, il tredicenne Claudio Pinton: ai cronisti che assistono al cambio delle sue medicazioni, sussurrerà con l’incoscienza tipica della sua tenera età: «Mi mettono il trucco per la recita. Sembro un diavolo con questa pomata rossa in faccia». La famiglia Tagliabue, che da sempre in Brianza si occupa di combustibili e di idrocarburi, sin da quando scaldava con la sua legna le stanze della Villa Reale per conto dei Savoia, si prodigherà – ricordano i giornali dell’epoca – per il benessere di chi è rimasto ferito e delle famiglie di chi ci ha lasciato le penne.

I funerali si trasformano in un evento oceanico, partecipano migliaia di persone, dal cardinale e arcivescovo di Milano Alfredo Ildefonso Schuster al sindaco, che fa apporre su una corona di fiori alla testa del corteo che attraversa tutta la città la scritta “La Città di Monza alle vittime del dovere”. Si dice così, all’epoca, specie nel cuore della Brianza operosa. Non manca lo spazio però anche per le polemiche. Fra “bianchi” e “rossi”, fra cattolici e comunisti. Il giorno dei funerali solenni, in piazza del Duomo, arrivano tre camion carichi di corone di fiori. Le bandiere rosse che alcuni militanti del Pci vorrebbero esporre in piazza vengono invece allontanate. E c’è chi da allora soprattutto tuona, sulle pagine di alcuni giornali dell’epoca, che non si possono continuare a ospitare nei centri abitati depositi di combustibili come avveniva alla Cif Petroli. La storia gli darà tragicamente ragione.