Paolo Nespoli: "Io, elettricista dello Spazio. Ma sono troppo passionale"

Paure e responsabilità, l’astronauta racconta la sua vita: "Diventi un extraterrestre e impari a controllare l’ansia"

Paolo Nespoli (Ansa)

Paolo Nespoli (Ansa)

Verano Brianza (Monza Brianza), 3 febbraio 2018 - «Nello spazio il tuo corpo cambia, diventi un extraterrestre, io addirittura sono cresciuto di 3 centimetri, ma a 60 anni, alla mia terza esperienza fra le stelle, sembrava sapessi cosa fare, il tuo corpo se lo ricorda. Insomma, me la sono proprio goduta… E anche se il viaggio di ritorno è stato un po’ ‘caramboloso’ (ride), stavolta dopo 20 minuti ero in piedi... le altre volte avevano dovuto trascinarmi fino a casa». È un entusiasta Paolo Nespoli. Tornato sulla Terra lo scorso dicembre, l’astronauta dell’Esa si trova da allora a Houston per mettere a frutto il lavoro fatto nel suo ultimo viaggio, più di 200 esperimenti portati a termine sulla Stazione spaziale internazionale tra cui 10 italiani dell’ASI.

Cosa ha visto questa volta? «La stazione spaziale è un progetto a lungo respiro che permette a scienziati di fare attività in orbita che sulla Terra non si possono fare: l’astronauta è la manodopera, è solo una delle tante rotelline che girano. Sembra un paradosso, ma quando ‘vado su’ eseguo solo esperimenti ideati da altri, sono la mano dello scienziato, il meccanico, il gruista, l’elettricista dello Spazio».

Così uccide il romanticismo... «Ma fare l’astronauta è anche una conquista, personale e della Nazione, so di essere un privilegiato: vivi in un posto incredibile e usi il tuo tempo in modo utile per te e per tutti. Ma è un lavoro duro, non è una vacanza».

Cosa ha imparato? «Che nello spazio, anche se stai fermo, hai bisogno di tantissime calorie, una nutrizionista teneva sotto controllo i miei valori e mi chiamava ogni volta a dirmi: ‘Paolo, mangia!’. E in uno spazio ristretto come una stazione spaziale in cui sei costretto a convivere per mesi con altre persone ho imparato che devi essere… tollerante».

Che difetti ha Nespoli? «Mi dicono che ho un retaggio italiano: a volte troppo passionale. Ad esempio, mi hanno chiesto di fare fotografie dalla cupola e io ne ho scattate centinaia di migliaia, più di chiunque altro, conscio che stavo correndo il rischio di sovraccaricare il sistema. Al ritorno, sa cosa mi hanno detto alla Nasa? ‘Ci hai messo in ginocchio ma non abbiamo voluto fermarti: il materiale è incredibile!’».

Lontano, nello Spazio… e la paura? «Ti addestrano a superarla anche se... in una delle mie foto si vede passare un grosso meteorite: se ci avesse colpito ci avrebbe polverizzato. Ma il vero timore è un altro. L’ansia che ti può prendere quando ti trovi a fare un esperimento per cui magari 100 scienziati hanno lavorato per anni: ti sembra che ti abbiano affidato il gioiello di famiglia; se sbagli un movimento, potresti frantumarlo in mille pezzi».

Lei se l’è sempre cavata... «Quando mi hanno affidato la responsabilità di catturare con un braccio meccanico un veicolo per il rifornimento, il mio cuore batteva a mille... subito dopo la cattura ho alzato le braccia al cielo come se avessi vinto le Olimpiadi».

Gli astronauti sono gli ultimi esploratori? «La stazione spaziale serve principalmente a investigare per espandere la nostra conoscenza con l’intento di migliorare la vita sulla Terra ma anche per capire come affrontare in futuro missioni interplanetarie che richiederanno anni di navigazione. Pensiamo a Marte per esempio». 

Un giorno andremo tutti nello Spazio? «Nessuno conosce il futuro, ma se pensando a cosa è successo negli ultimi 100 anni, a come si è sviluppata l’industria aeronautica, per esempio, credo che un giorno il turismo spaziale avrà successo. Anche perché nello spazio ci sono almeno due cose veramente uniche: l’assenza di gravità e la possibilità di guardare la Terra da lontano. È solo questione di costi, ma le navicelle private voleranno e il futuro dell’uomo, fra 15 o 20 anni, sarà anche nello Spazio. E si ricomincerà con l’esplorazione vera e propria della Luna. E un giorno di Marte».

Non è un sogno? «Per il momento sì. Ma storicamente gli esseri umani ogni volta che hanno voluto fare qualcosa di impossibile hanno anche trovano la soluzione per farlo».

È stato il suo ultimo viaggio? «Fosse per me continuerei la mia carriera di astronauta professionista, ma mi dicono che è arrivato il momento di andare in pensione. Mi sa che in futuro, quando i prezzi si abbasseranno, ci riproverò da turista!».

E adesso? «Devo capire cosa fare da grande: vorrei riportare in Italia le conoscenze tecniche accumulate in tanti anni, mi sento europeo e italiano, vorrei lavorare per migliorare la nostra vita. Sicuramente continuerò a spronare i nostri ragazzi».

Per mia figlia Laura, 6 anni, lei è un eroe. «Ai ragazzi dico: sognate cose impossibili e poi svegliatevi e datevi da fare, lavorando con caparbietà e costanza, imparando dagli errori. Con un piccolo passo alla volta si arriva lontano. Tutto è possibile: un giorno ci saranno astronauti dappertutto. E a Laura dica di inseguire le sue passioni, sempre».

E i suoi figli (4 e 8 anni) che dicono? «Si sono resi conto che il loro papà faceva qualcosa di speciale solo quando mi sono collegato dallo Spazio con la loro scuola. E hanno visto le reazioni dei loro compagni».

Anche stavolta non è uscito dalla Stazione, non ha fluttuato nello Spazio…

«Ci sono andato vicinissimo, mi è spiaciuto, anzi mi brucia, mi ero massacrato per essere pronto: una buona ragione per andare un’altra volta nello Spazio. Magari su Marte».