Il frate eretico sulla forca e l'odore del Diavolo

L'incredibile esecuzione di Carlo Sala, ladro sacrilego, nell'ultimo capitolo del romanzo a puntate

L'impiccagione di Carlo Sala (illustrazione di Guido Bandera)

L'impiccagione di Carlo Sala (illustrazione di Guido Bandera)

Monza, 20 agosto 2017 -

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI Gli ultimi due giorni prima dell’esecuzione della sua condanna a morte vedono Carlo Sala sottoposto a torture e a continui tentativi di estorcergli un pentimento. Carlo Sala però resiste a ogni pressione, e risponde invece punto per punto ai religiosi che vengono inviati per convertirlo e a cui ribadisce il proprio ateismo e le proprie convinzioni antireligiose. Quello che era stato un tempo, quando ancora era ragazzo, costretto a farsi frate. Colui che raggiunta la maggiore età aveva gettato il saio ed era andato a riprendersi i suoi soldi a casa dello spietato zio truffatore. L’uomo che aveva tentato di diventare un libraio di volumi proibiti scontrandosi contro le mene dell’Inquisizione prima di trasformarsi in un ladro sacrilego in decine di chiese si appresta ora al supplizio in una Milano in cui cominciano a circolare le idee del Beccaria contro la pena di morte. E la fine di Carlo Sala sarà destinata a rimanere scolpita nelle menti di tante persone.  

ROMANZO A PUNTATE: L'ERETICO

Capitolo sette: l'Esecuzione

LA NOTTE prima dell’esecuzione, Carlo Sala dorme otto ore filate, come forse mai gli era capitato. Lo vanno a prendere all’una di pomeriggio. Si è discusso parecchio se sia o meno il caso di far accompagnare il prigioniero sullo stesso convoglio da religiosi. Se spegnere addirittura le torce o abbassare il crocifisso, perché in fondo si ha a che fare con un ateo impenitente, un nemico della religione, un frate eretico e ladro sacrilego... ma alla fine sul carro che deve portare Carlo Sala al patibolo prendono posto comunque anche quattro sacerdoti. Il carnefice conduce Sala fuori dal confortorio e, giunto il carro, i sacerdoti incaricati di accompagnarlo nel suo ultimo viaggio gli si rivolgono così, nel vano ed estremo tentativo di convertirlo: «Ecco Sala la scena sopra cui terminar deve la vostra Vita vedete quell’alte scale, che voi or dovete montar, esse devon condurvi o ad un’eterna felicità, o ad un’eterna dannazione». Ma quando lo minacciano dicendogli che il Diavolo lo aspetta, lui replica sprezzante: «Il Diavolo è una bella macchina». Come a dire, è solo un’invenzione. A quel punto Carlo Sala rimane solo. Nel corso del tragitto dalla carceri a Piazza Vetra il boia gli infligge i tre colpi di tenaglia rovente stabiliti, senza tuttavia che il condannato, imperturbabile, mostri la benché minima reazione o segno di sofferenza. «Si vedeva un globo di fumo alzarsi, si vedeva il carnefice stringersi nelle spalle e alzar le mani per lo stupore, e non s’udiva un grido, un sospiro del Sala che potè esser padrone de’ suoi muscoli a segno di non fare il minimo movimento come se nemmeno lo toccassero» testimonia un cronista (e illuminista) d’eccezione, il conte Pietro Verri. Per il taglio della mano, anzi, è lo stesso condannato a porre l’arto sul tronco di legno e a indicare al carnefice il sito preciso dove si doveva collocare il ferro.  «Osservò come si faceva a tagliarla, si abbassò coll’altra mano per raccogliere la caduta, non diè moto o grido di dolore, osservò attentamente il braccio mozzato». Il boia afferra una gallina: come era opinione a quei tempi, bisogna applicarla al moncherino del braccio appena mozzato per fermare l’emorragia. Ma per la tensione, la gallina gli sfugge di mano. E Carlo Sala sorride, come se avesse appena assistito alla scena più divertente del mondo. Il boia è terrorizzato, convinto ormai com’è che il condannato sia un negromante e che quando sarà in punto di morte comparirà addirittura il Diavolo in persona a prenderlo con sé. Carlo Sala è il vero padrone della scena. Chiuso in un ostinato silenzio, al momento di essere impiccato anticipa lui stesso il boia, scalcia il piedistallo, «diè un’occhiata abbasso e da sé si scagliò».

A Milano, in Piazza Vetra ammutoliscono tutti.  Alle 4, quando ormai sulla scena non è rimasto più nessuno, con l’aiuto di un garzone il carnefice tira giù il cadavere dell’impiccato e lo trascina fino a uno dei bastioni di Porta Ticinese dove, scavata una profonda fossa, Carlo Sala viene infine sepolto. «Jacet hic Carolus Sala turpiter suspensus in furcis vita/ moribus et religione Satan» conclude la relazione della confraternita dei confortatori che lo aveva accompagnato le sue ultime ore. «Qui giace Carlo Sala, ignominiosamente impiccato, Demonio nella vita, nella religione e nei costumi».  Potrebbe essere questa l’iscrizione – suggerisce amaramente la confraternita - da incidere sulla lapide del frate e ladro sacrilego. Il ricordo di quanto accaduto rimarrà scolpito a lungo nelle menti della gente. Ne parla anche Carlo Castiglioni, prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano dal 1953 al 1964: «Di notte nessuno ardiva passare sul bastione di Porta Ticinese ove fu interrato il cadavere. Si favoleggiò di demoni che comparivano trascinando lo spettro del bestemmiatore impenitente, e il nome del Sala suonò terrore e spavento per un secolo intero nella tradizione popolare di Casletto Brianza». Forse temevano di incontrare il fantasma di un uomo di grande corporatura, “faccia bislonga olivastra di colore”, la schiena solcata da tre bruciature inferte da una tenaglia rovente. E un moncherino insanguinato al posto di un braccio.