Concorezzo, le due famiglie sterminate dai funghi a inizio Novecento

Tragica storia, morirono in dodici avvelenati dalla cena

I funerali del 1909 nelle foto dell'archivio storico di Concorezzo

I funerali del 1909 nelle foto dell'archivio storico di Concorezzo

Concorezzo (Monza  Brianza), 10 dicembre 2017 - «Sulla strada per Monza vi era un bosco chiamato Viganoni, dal nome del proprietario». Comincia così, sul libro “Storia di Concorezzo”, il racconto di un fatto di cronaca avvenuto nel 1909, riportato dai giornali dell’epoca e rimasto ancora nella memoria di non pochi concorezzesi.

In quel bosco, il 7 ottobre di quell’anno, un giovedì, dei ragazzi decidono di andare a raccogliere funghi. Sono i figli dei tre fratelli Natale, Serafino e Martino Beretta. Sono tempi poveri quelli, di miseria e fatica, in cui spesso ci si deve accontentare dei frutti che offre spontaneamente la natura. E a casa Beretta, quando vedono arrivare quel carico di funghi così succulento, sono sicuramente felici per quella cena quasi inaspettata. «Ne trovarono in abbondanza - ricordano le cronache dell’epoca - ne fecero la ripartizione ed ognuno li portò alla propria famiglia». E senza perdere tempo decidono di cucinare i gustosi frutti della terra accompagnati da cavoli e carote dicono alcune fonti, mentre altre precisano che la massaia della famiglia di Natale Beretta, che abitava in via Agrate, e quella della famiglia di Serafino, che stava poco lontano in via Tre Pozzi, cucinarono per cena funghi misti a patate e pomodoro.

Solo il terzo fratello, Martino Beretta, decise invece di mettere i funghi da parte per il giorno dopo. E fu la sua grande fortuna. La tragedia infatti era in agguato. Quei funghi evidentemente non erano infatti commestibili, ma velenosi. La notte dormono tutti placidamente. Ma al risveglio la mattina successiva qualcuno dei commensali comincia ad accusare i primi malesseri. Forti dolori di stomaco, che si traducono in conati di vomito col trascorrere delle ore. Per la sera di quel venerdì tutti e dodici i membri delle due famiglie finiscono a letto. E nella notte successiva, quella del sabato, cominciano a morire. Due bambine di nove e sei anni sono le prime vittime. Al mattino del sabato appaiono tutti in gravi condizioni. Entro sera, assistiti dal dottor Paolo Valla – ricordano le cronache – e dal professor Banfi di Vimercate, muoiono altri otto componenti delle due famiglie. Gli ultimi due resistono sino al pomeriggio della domenica, ma ormai c’è poco da fare. Il più “anziano” di queste due famiglie, Natale Beretta, padre di cinque figli, che di anni ne aveva 41, è l’ultimo a cedere insieme alla figlioletta Amalia, di appena 17 mesi. La tragedia è completa.

Ricordiamo i nomi delle vittime: Natale Beretta, 41 anni, la moglie Adele Angela Meroni, 32, i figli Carlo di 12, Antonio di 10, Caterina di 7, Ernesta di 4 e Amalia di 16 mesi. E poi Serafino Beretta di 39 anni, la moglie Maria Magni di 31, i figli Vittorio di 11, Irene di 9 e Luigi di 7. La tragedia suscita grandissima impressione e commozione a Concorezzo, la popolazione è sbigottita. Le salme vengono trasportate all’oratorio di Sant’Eugenio, attiguo al cimitero, per l’occasione ricoperto da drappi neri in segno di lutto. I funerali, a spese del Comune, si tengono il lunedì successivo, 11 ottobre, alle 15.30. Un corteo attraversa il paese davanti a ventimila persone, arrivate anche dai paesi circostanti. Segni di lutto e lenzuola scure vengono esposti a tutte le finestre sotto le quali passa il corteo. Una sessantina i sacerdoti che vengono chiamati a concelebrare la funzione, fra cui il parroco don Giovanni Maggi, l’arciprete di Monza monsignor Paolo Rossi e il prevosto di Vimercate Filippo De Giorgi. Non mancano anche personalità come il presidente della Congregazione di Carità e degli Asili, il dottor Odescalchi, il sindaco Gaetano Meda, industriali, dignitari, funzionari pubblici.

Tutto si svolge con ordine, «senza l’intervento di un carabiniere» ricordano le cronache. E in un angolo del cimitero i dodici poveretti vengono ricordati – scrivono le cronache di Concorezzo - «sulla pietra per la tragica fine avvenuta in un tempo nel quale per i nostri paesi il rumore più forte era quello di un carro sull’acciottolato».