Carlo Sala getta il saio e per vendetta va a derubare lo zio

Il romanzo dell'estate: seconda puntata dell'ultimo eretico

Carlo Sala nell'illustrazione di Guido Bandera

Carlo Sala nell'illustrazione di Guido Bandera

di DARIO CRIPPA

CAPITOLO SECONDO:

UNA FUGA NELLA NOTTE.

DI NOTTE era nato la prima volta e all’età di diciotto anni, sempre di notte, Carlo Sala era destinato a nascere di nuovo.

La vita del convento di Domodossola non faceva per il giovane rampollo di quella che era stata una delle famiglie più importanti del contado di Casletto.

Troppo stretti i panni di “fra’ Bonaventura” per il suo animo irrequieto e turbolento.

E POI LA CONVINZIONE di essere stato vittima di una profonda ingiustizia lo tormentava ormai senza dargli requie.

E così, nella notte del 25 novembre 1764, il fu Carlo Sala, alias fra’ Bonaventura, mette in atto la prima decisione drastica della sua tormentata vita.

MENTRE i suoi confratelli dormono profondamente, Carlo Sala decide di fuggire. Ne danno testimonianza le parole scritte dai superiori dell’Ordine a cui volente – ma soprattutto nolente – era appartenuto sino ad allora:

«Fugì dal Convento di Domo D’Ossola, situato nelli Stati di Sua Maestà Sarda, né mai si è potuto sapere, in quale luogo sii andato, sebbene siansi usate tutte le diligenze possibili».

INSOMMA, Carlo Sala scompare nel nulla e a nulla conducono i tentativi di capire quale sia stata la sua mèta.

Ci penseranno le cronache giudiziarie di questa oscura vicenda a fare chiarezza. Dopo aver galoppato tutta la notte, Carlo arriva fino a Casletto nella dimora dello zio ed entra di soppiatto per commettere quello che sarà il primo clamoroso furto della sua esistenza, ma non l’ultimo.

ANCHE SE – nella mente del ladro – si tratta più che altro di una legittima riappropriazione di quanto era di sua proprietà, un atto di “giustizia poetica”.

Lo scrive lo stesso Carlo Sala in una lettera dai toni brutali lasciata allo zio a mo’ di spiegazione dopo il furto: «Lo zio Giuseppe Antonio Sala mi deve… in tutto lire 2665. I quali ora prendo da questa Cassa, perché essendo miei, ne voglio far quello che ne voglio io, né sono tanto Coglione da menar una vita tanto minchiona, e tanto contraria alla natura umana per soddisfare a’ vostri capricci».

PERCHÉ – spiega ancora il fu Carlo Sala – «né tutti son fatti per fare il Frate, né tutti per fare il Prete, e di tanti, che sono nelle Religioni, nemmeno la metà si è fatto volontariamente, ma tutti chi per un motivo, chi per un altro».

Insomma, “il dado è tratto”, e Carlo Sala comincia a dimostrare nei fatti un’indole indomita, con un solo timore, come spiegherà nel prosieguo della lettera: le conseguenze che avrebbero potuto provocare le sue azioni alla madre, alle sorelle e soprattutto all’altro fratello rimasto in convento.

ANZI, proprio pensando a loro, Carlo si raccomanda allo zio: «Io solo nel son colpevole, onde con me adiratevi e sfogate la vostra rabbia… Ricordatevi che non ho preso della vostra robba, ma della mia».

(2 - Continua)