L’ex calciatore sgozzato per i soldi: "Se mi rapiscono sai dove sono"

Milano, La Rosa temeva l’incontro. Volevano scioglierlo nell’acido

Lo stabile dove è stato ucciso La Rosa

Lo stabile dove è stato ucciso La Rosa

Monza, 16 dicembre 2017 - Un piano diabolico. Studiato nei minimi dettagli. Premeditato a tavolino da Antonietta Biancaniello e Raffaele Rullo, madre e figlio. L’obiettivo: far scomparire Andrea La Rosa, ex calciatore di 35 anni sparito la sera del 14 novembre e ricomparso cadavere nella tarda mattinata di giovedì nel bagagliaio di una macchina, rannicchiato in un vecchio bidone blu della Ip. Prima lo hanno ucciso, forse con una coltellata alla gola. Poi lo hanno tenuto nascosto per giorni, prima in una cantina di via Cogne a Milano, sotto casa della donna, e poi in un’autorimessa di via Litta Modignani, a un paio di chilometri di distanza. L’altroieri, la Biancaniello ha caricato il barile sulla sua Lancia Y e ha imboccato la Milano-Meda destinazione Seveso: lì ad attenderla c’era Rullo, pronto a disfarsi dei resti di La Rosa con 24 flaconi di acido.

Alle 11.55, però, l’auto è stata fermata dai carabinieri: «C’è del gasolio, controllate pure», ha replicato la 59enne con sangue freddo da consumata assassina. La macabra scoperta qualche minuto dopo. La confessione: «Sì, non ero in me, ma ho ucciso io La Rosa Andrea. Mio figlio non sa nulla, ho fatto tutto da sola». Parole smentite dalle indagini dei militari del Nucleo investigativo di Milano, guidati dal tenente colonnello Michele Miulli e dal maggiore Cataldo Pantaleo, che in un mese di accertamenti nel più stretto riserbo hanno messo insieme prove e riscontri schiaccianti.

Del resto Rullo è diventato il principale sospettato già nelle prime ore successive alla denuncia di scomparsa. Le dichiarazioni della fidanzata del 35enne e di un giocatore della squadra di cui l’uomo era direttore sportivo puntano subito sull’incontro della sera del 14 novembre in viale Certosa: «Doveva incontrare Raffaele Rullo». Perché? Per consegnargli la quarta tranche di un prestito complessivo da 38mila euro. Soldi che evidentemente il tecnico informatico – pare con un’attività illecita parallela di smercio di auto per truffe ai danni delle assicurazioni – non sarebbe mai riuscito a restituire, in gravi difficoltà economiche e pressato dai conti delle carte di credito in scadenza. È il movente, stando alla ricostruzione dell’accusa. Quella sera, La Rosa ha paura: invia in tempo reale alla fidanzata le foto con i luoghi che sta attraversando in macchina e dice a un amico «Se mi rapiscono sai dove sono...». Rullo lo convince a spostarsi a Quarto Oggiaro, a casa della mamma. Il 35enne è in trappola. All’1.34, il suo cellulare si riaccende dopo due ore di silenzio. La compagna riceve tre messaggi su Whatsapp in rapida successione: «Azz», «Ho sonno», «Dopo chiamami». A scrivere quei messaggi, però, è Rullo. A quell’ora, La Rosa è già morto.