Tolte le mine da ponti e gallerie. Guerra finita anche in Svizzera

Rimosse le difese passive del secondo conflitto mondiale e della Guerra Fredda. Ora la Svizzera vuole dotarsi di "sistemi mobili" di Marco Palumbo

Questa casamatta sul Colle del Gran San Bernardo doveva proteggere l’Italia da un’invasione svizzera

Questa casamatta sul Colle del Gran San Bernardo doveva proteggere l’Italia da un’invasione svizzera

Berna, 7 gennaio 2015 - Nel paese della Croce Rossa l’orologio della pace è suonato con qualche decennio di ritardo. Proprio in questi giorni è infatti caduto l’ultimo mito a tinte rossocrociate che resisteva addirittura dai tempi della Guerra Fredda,Alpini portano un pezzo d’artiglieria in quota sul Piccolo San Bernardo ma affondava le proprie radici agli albori della Seconda Guerra Mondiale. L’esercito svizzero, a fine 2014, ha infatti deciso di rinunciare a tutte le difese passive di cui erano stati debitamente dotati numerosi tra ponti, gallerie, strade e persino piste d’atterraggio. In pratica sono stati bonificati da mine ed esplosivi tutta una serie di «obiettivi sensibili» che erano stati blindati nel timore di una possibile invasione della Confederazione.

Venticinque anni dopo la caduta del Muro di Berlino anche a Berna si sono resi conto che il Patto di Varsavia non rappresentava più un pericolo. Le cariche esplosive, decisamente non più al passo coi tempi e retaggio di un passato ormai lontano, erano state posizionate dai genieri dell’esercito della Confederazione. In caso d’invasione gli svizzeri erano pronti a distruggere le principali vie di comunicazione, isolando i passi e le vallate.

La notizia di questa storica decisione ha avuto grande risalto soprattutto in Francia anche perché confermata dall’esercito. A onor del vero, le operazioni di smantellamento erano cominciate già anni fa. Il pauroso incendio nel tunnel del Gottardo (adeguatamente equipaggiato negli anni ‘70 di cariche esplosive sempre con finalità di difesa passiva), nel 2001, aveva riaperto il dibattito sull’opportunità di togliere al più presto di mezzo questo vetusto dispositivo di difesa. Ci sono voluti ancora degli anni, ma alla fine l’obiettivo è stato raggiunto.

L’esercito svizzero, interpellato da quotidiani francofoni, ha parlato di «nuove forme di difesa» e della necessità di disporre ora di «sistemi mobili» e non di «cariche esplosive fisse». Quanto alle tempistiche, considerato che le prime operazioni di smantellamento risalivano addirittura ai primi ‘90, l’esercito ha spiegato che «visti i pochi specialisti a disposizione non era possibile fare di più». La notizia di questo «repulisti» sulle temute e spesso chiacchierate difese passive rossocrociate è rimbalzata anche al di qua del confine, dove in molti hanno tirato il più classico dei sospiri di sollievo.