Voragine in Porta Romana: "Ecco come i costruttori hanno aggirato tutti i veti"

Secondo il Comune all’origine dello smottamento verificatosi sabato c’è la scelta dell’impresa di installare una paratia in legno invece che di cemento al terzo piano dei box interrati di Giambattista Anastasio

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Milano, 29 luglio 2014 - Nella lunga e tormentata storia del parcheggio sotterraneo del palazzo al civico 124 di corso di Porta Romana, il palazzo sotto il quale sabato mattina si è aperta la clamorosa voragine di 6 metri per tre, l’evento spartiacque risale all’aprile del 2010. Fu allora che l’impresa costruttrice decise di ignorare il rifiuto oppostole dallo Sportello Edilizia del Comune alla richiesta del certificato di agibilità dei box sotterranei. Un rifiuto condito pure da una sanzione. Incassato il no dello Sportello, l’impresa non si diede però per vinta. Anzi, il giorno stesso presentò analoga richiesta all’ufficio del Protocollo Generale di Palazzo Marino. Tra le mansioni di tale ufficio non rientra però la concessione di certificati di agibilità, sottolineano da piazza Scala. L’impresa ritenne invece che il deposito della domanda al Protocollo potesse bastare. Se la valutazione dei costruttori fosse stata diversa, probabilmente sabato mattina 17 famiglie del palazzo non sarebbero state costrette a lasciare i propri appartamenti. Sì, perché è proprio in seguito al deposito della domanda di agibilità al Protocollo che gli stessi costruttori avviarono le procedure di vendita e i rogiti dei 16 box auto, tutti riservati ai residenti. Questa la ricostruzione del Comune, questi gli eventi riportati nella relazione che ieri il vicesindaco con delega all’Urbanistica, Lucia De Cesaris, ha portato in Consiglio comunale proprio per fare chiarezza sull’accaduto, procedere all’individuazione delle responsabilità e valutare eventuali azioni di rivalsa. Contro chi? "I condomini — scandisce Carmela Rozza, assessore ai Lavori pubblici — sono due volte vittime: vittime dei costruttori e vittime dei venditori". "L’obiettivo — spiega De Cesaris — è risalire alle responsabilità individuale di chi aveva la direzione dei lavori". Operazione certo non impossibile ma nemmeno semplice.

Dal 2002 a oggi sono ben tre le ditte che si sono avvicendate nel cantiere. E l’ultima è in liquidazione. "Una difficoltà in più", dice la Rozza. Il piano di recupero dell’area, datato 2002 e poi modificato con una variante nel 2003 grazie ai poteri straordinari dall’allora commissario al traffico, fu affidato alla Siva Srl, che fu poi assorbita dalla Assisi Srl che fu a sua volta sostituita dalla Santa Cristina, ora in liquidazione. Già prima del 2010 non mancarono comportamenti anomali da parte dei costruttori: scaduti nel 2008, i titoli a costruire furono rinnovati solo nel 2010, ma si scoprì che nel frattempo l’impresa aveva proseguito e di fatto ultimato i lavori anche in assenza delle autorizzazione. Da qui la richiesta di agibilità. Nel 2012, in seguito ad un sopralluogo, il Comune decise poi di inibire l’uso dei box. Ma i fatti di sabato dimostrano che l’ingiunzione fu ignorata. E così accade anche perché l’impresa nello stesso anno riuscì ad ottenere dal Tar lo stop all’escussione della fideiussione. "Ma c’è ancora il Consiglio di Stato" avverte De Cesaris. Insomma, la vicenda non è chiusa. Palazzo Marino nel frattempo ha però già scelto di non consentire la realizzazione dei 4 box in via Vaina previsti dalla variante del 2013 e di destinare a verde l’area della stessa via dove era prevista la ricostruzione del teatro.

giambattista.anastasio@ilgiorno.net

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