Martedì 23 Aprile 2024

“Utero in affitto” per avere dei figli. Coppia assolta: trucco a fin di bene

Giudice di Varese: prevale il diritto dei bimbi a un’identità accertata di Enrico Camanzi

Una donna incinta (Foto di repertorio LaPresse)

Una donna incinta (Foto di repertorio LaPresse)

Varese, 27 novembre 2014 - Una "bugia" detta con il cuore che, alla fine, è riuscita a passare indenne anche il verdetto di un tribunale. La storia di una coppia residente nel Varesotto, 55 anni lui e 30 lei, assolti («perché il fatto non costituisce reato») dopo aver dichiarato che i due gemelli avuti in Ucraina mediante la procedura di maternità surrogata, proibita per legge in Italia, fossero loro figli biologici è destinata a rappresentare un caso giudiziario, ma anche ad aprire un dibattito legislativo ed etico. Perché la sentenza pronunciata dal gup Stefano Sala - la prima di questo tipo in Italia - ha radici in un vuoto giuridico non ancora colmato dal legislatore. La vicenda inizia quando i due genitori nell’autunno del 2011, registrata in Comune la nascita dei neonati asseritamente partoriti a Kiev, vengono indagati con l’accusa di alterazione dello stato civile. I due bimbi non erano loro figli biologici, bensì - si scopre con una perizia genetica - erano stati generati da una donna ucraina che si è prestata al cosiddetto «utero in affitto», pratica ancora vietata in Italia.

Nel processo con il rito abbreviato, chiesto dall’avvocato difensore Augusto Basilico di Varese, l’ipotesi accusatoria è derubricata a falsa attestazione di identità a un pubblico ufficiale, reato per cui si rischiano comunque fino a sei anni di detenzione. A questo punto il giudice si trova davanti a uno scoglio: i casi di dichiarazioni sullo «status di genitore» da parte di un soggetto che «ricorre a metodi di fecondazione diversi da quelli disciplinati dalle legge nazionale» non sono ancora stati trattati nell’ordinamento italiano. L’appiglio è così individuato in due sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. I magistrati di Strasburgo, dovendo decidere sui ricorsi presentati da due coppie francesi che avevano avuto figli attraverso la maternità surrogata, hanno privilegiato il diritto del bambino ad avere un’identità accertata, «compreso il proprio status di figlio o figlia di una coppia di genitori», a prescindere da quali siano, effettivamente, i suoi papà e mamma biologici, quando almeno uno di questi due non possa essere individuato con certezza. E così è arrivata un’assoluzione per un fatto che «trasmuta da falso punibile a falso innocuo». Così, secondo il gup, si tutela il futuro dei due gemelli che, in caso di mancato riconoscimento del rapporto di genitorialità, avrebbero rischiato anche di essere privati «di ogni diritto alla successione legittima» e «di un necessario legame riconosciuto legalmente in caso di separazione, divorzio, morte di uno dei due genitori».