"L’usura esiste anche a Milano. Ma ha il volto amico di commercialisti e vicini"

La denuncia di Ferruccio Patti, vicepresidente di Confesercenti di Giambattista Anastasio

Ferruccio Patti, vicepresidente di Confesercenti

Ferruccio Patti, vicepresidente di Confesercenti

Milano, 3 marzo 2015 - "L'usura a Milano esiste. Ma ha un volto amico. È un’usura amicale". A dirlo è Ferruccio Patti, dal giugno scorso vicepresidente di Confesercenti, carica che riveste dopo essersi occupato per anni proprio di fidi e finanziamenti agli iscritti all’associazione delle imprese del commercio.

Patti, che intende esattamente per «usura amicale»? «È una realtà nota tra gli addetti ai lavori, assai meno all’esterno. Ogni esercente è inserito in un tessuto di relazioni ed è all’interno di queste relazioni che riceve prestiti di denaro quando le banche chiudono i rubinetti, quando è in difficoltà. Accade che li riceva dal proprio commercialista o dall’amico banchiere del commercialista. Da un proprio cliente o da un altro esercente della zona che ha sempre il negozio pieno. Infine anche dalle sale giochi, che spesso hanno grande liquidità».

Potrebbe trattarsi di mutuo soccorso tra conoscenti. «Il rapporto personale conta in questi contesti. Difficile che qualcuno presti denaro ad esercenti che non ha mai conosciuto o sui quali non ha avuto buone referenze da amici. Questi prestiti, però, hanno un vero e proprio tasso d’interesse, nell’ordine minimo del 10% al mese. Di solito avviene che chi presta denaro chieda un assegno maggiorato, per via degli interessi, già per il mese successivo».

Di che importi parliamo? «Non si tratta di grandissime cifre. Siamo nell’ordine delle migliaia di euro, dai 5mila ai 40mila euro».

Lei è a conoscenza di esercenti che hanno chiesto e ottenuto prestiti rivolgendosi alle persone con le quali sono a contatto per motivi lavorativi, a sale giochi o a colleghi? «Sì. Ci sono passati in tanti».

Quanti? «Svariate decine di esercenti. Ne ho conosciuti parecchi in 30 anni di attività nel settore, è davvero difficile darle un numero».

Qual è, se esiste, il profilo dei commercianti che finiscono in questo tipo di usura? «Non c’è un profilo standard. Spesso si tratta di esercenti che hanno avviato la loro attività senza avere tutte le basi finanziarie, commerciali e fiscali. Spesso è un problema di formazione».

C’è chi riesce a non chiudere bottega grazie ai prestiti di amici o di amici degli amici? «Sì, succede».

Siamo sicuri che questo tipo di usura non sia legata alla malavita organizzata? «Credo in tutta onestà che a Milano il fenomeno dell’usura gestita dalla malavita sia davvero poco diffuso tra le attività tradizionali. A meno che non si sia aperta l’attività proprio grazie a fondi provenienti da ambienti legati alla malaffare. Possibile, poi, che ci siano boss di quartiere che prestano soldi agli esercenti. Ma sono casi rari, se ci sono».

Che serve contro l’usura? «Meno rigidità da parte delle banche: basta non pagare una rata del mutuo perché chiudano la borsa. Succede, poi, che i commercianti che hanno superato i loro guai continuino ad essere segnalati nella Centrale Allarme Interbancaria, quella che gli istituti di credito consultano prima di decidere se supportare o no un’impresa».

giambattista.anastasio@ilgiorno.net

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