Elogio sentito di chi viaggia in tram: sei in stampelle? Tutti cedono il posto

Sette giorni zoppicando sui mezzi pubblici. Ma in metrò poca pietà di GIAMBATTISTA ANASTASIO

In stampelle su metrò, bus e tram (Newpress)

In stampelle su metrò, bus e tram (Newpress)

Milano, 8 maggio 2016 - Con l'entusiasmo impaziente di chi ha visto una verità lievitare lenta fino allo stato solido dei segreti, un’amica mi ha svelato che quelli che viaggiano in tram e quelli che preferiscono la metropolitana sono umanità diverse. Come gli harleysti e gli scooteristi. Non l’ho mai vista andare in moto, ma lei di tram se ne intende, tant’è che le sono bastate due mie parole per spiegare quel che io, in trent’anni di vita milanese, ho capito solo grazie a due stampelle. Elogio dei «trammisti», che il posto, a me che zoppico, lo hanno lasciato sempre da una settimana a questa parte. Messaggio ai «metropolitanisti», che il posto non me l’hanno lasciato quasi mai: siamo fatti per rialzarci, quindi occhio che la caduta è dietro l’angolo. E allora non potrete aggrapparvi allo smartphone perché le manine vi serviranno salde sui bastoni canadesi. E un posto a sedere non lo si trova su Google. E un amico che il posto ve lo ceda non c’è Facebook che ve lo possa suggerire. Sarà divertente vedervi lanciare l’ennesimo cinguettio!

Elogio dei trammisti che sono tali perché spesso mantengono alta la testa e intatta la voglia di guardarsi intorno. Elogio alla chioma folta, ricciola e canuta che giovedì mattina, sul tram 3, ho visto sorretta prima da un’accesa giacca rossa e solo poi da un volto che mi indicava il suo seggiolino, ora libero. «Grazie ma...lei?». «Sono stanca di star seduta» mi risponde per non farmi sentire in colpa. Elogio alla signora in piedi vicino a noi che temevo avesse un’impresa di ascensori e invece aveva semplicemente perso l’impresa di far ragionare l’assemblea di condominio: «Il suo palazzo è servito?» chiede. «No, solo scale – dico –.Terzo piano senza ascensore». «Certi palazzi sono bloccati da faide ancestrali» assicura lei, d’un colpo inquietante ed inviperita. Elogio di quella signora, ancor più minuta sotto gli occhialoni da vista, che non ne azzecca una manco per sbaglio e mi manda nel pallone più di quanto non sia: «Caviglia?» mi chiede dopo aver sfrattato una voluminosissima borsa tutta rosa e fiori dal seggiolino accanto al suo. «No, ginocchio!» sospiro grato prendendo posto. «Rotto, eh?». «No, storto: distorsione». «Lavoro?» incalza ancora. «No, calcio. Vabbè, calcetto ad essere onesti». Se la ride: «Quelli lì sono pagati milioni per dar due calci al pallone, lei avrà giocato gratis». Accidenti, questa dimensione della beffa non l’avevo ancora realizzata: «Peggio, io ho pure pagato per farmi male, cioè giocare. Beh, il campo va pagato, signora». Elogio del ragazzo nordafricano in camicia rossa con riquadri neri che giovedì sera, nel vedermi attraversare il tram 2 stampellando ora verso destra e ora verso sinistra, dà col palmo della mano una botta sulla spalla dell’amico, come se questo stesse dormendo e dovesse di colpo svegliarsi. Invece quello era seduto. E l’altro aveva di colpo deciso che dovevo esserci io al posto suo.

I metropolitanisti invece non si mettono al posto di nessuno. Non il ventenne palestrato che non ricordo di aver mai visto calcare il prato di San Siro eppure mi squadra dal basso verso l’alto, ma solo perché lui è seduto, con la faccia di chi commisera una «pippa». Non la signora che all’amica parla dell’ultima conference call e quando mi avvicino tira a sé la borsetta come scambiandomi, sulle prime, per un mendicante. No, i metropolitanisti intorno non si guardano e non sembrano sentire ragioni: solo la musica dalle cuffiette. E ve lo immaginate l’harleysta-tipo costretto tra i tavoli bianchi da idillio bucolico di California Bakery? Ve lo immaginate addentare quegli hamburger ingentiliti sotto un soffitto vestito di cestini di vimini stile Cappuccetto Rosso? La ragazza che mi costringe a stare in piedi di fronte a lei sulla rossa, pare non immaginare altro: gambe accavallate, scorre sullo smartphone il menù del noto brand. Io la spio, sì. Un «Sos», il linguaggio del corpo. Lei se ne accorge: è fatta. No, si infastidisce. Elogio, invece, del signore distinto che venerdì pomeriggio, fermata Duomo della M1, mi ha lasciato il posto ed è rimasto in piedi chissà per quante fermate ancora perché io sono sceso prima di lui. Ma lui, trolley in mano, le contava tutte quelle fermate, una ad una, come volesse passassero in fretta. Elogio del metropolitanista che voleva scendere e smettere di esserlo.

giambattista.anastasio@ilgiorno.net

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