Thohir, quanto è dura la vita da presidente (dell'Inter)

Le smorfie di ET davanti alla debacle nerazzurra contro il Cagliari di Zeman di Claudio Negri

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di Claudio Negri 

Milano, 29 settembre 2014 - Come buon viaggio («E salutaci l’Indonesia, appena arrivi mandaci una cartolina») non è stato granché, anzi. L’1-4 di un pomeriggio di un giorno da cani, ha come fulminato in tribuna vip il presidente dei nerazzurri d’Oriente e Occidente, Erick Thohir. Solo e pensoso tra gli augusti sedili, il numero uno dell’Inter è passato in poco meno di un’ora da un’espressione pacifica e assorta a un disappunto crescente Direte: com’è la smorfia del disappunto crescente? Avete presente una cattiva digestione? Da quel grande e raffinato comunicatore quel egli è, attento al dettaglio e alla sfumatura, Erick Thohir dà di solito un’immagine sorridente e friendly, amichevole, disincantata bonomia. Ma ieri, con l’1-4 da deglutire e metabolizzare - magari nel lungo volo verso il sole che nasce - ET ha derogato alla consueta compostezza.

Prima che la partita andasse a rappresentarsi giù nell’erba, lui era arrivato di buon’umore, stringendo mani e distribuendo sorrisi generosi, riconoscendo amici (ormai Erick è di casa a Milano, tra un po’ il suo inglese da uomo d’affari cosmopolita prenderà un’inflessione, un riflesso, un riverbero di Naviglio) e accennando ai conoscenti, in pratica tutto lo stadio, che gli sfilavano sopra e sotto, felici di essere riconosciuti. Insomma, era un Thohir in perfetto stile conviviale, sintesi di buone e cordiali maniere, da Giacarta a Milano. Senonché, già dal fischio iniziale e dalla prima ficcante azione del Cagliari, il sorriso s’era spento sul volto di porcellana del magnate indonesiano. Una vaga aria di inquietudine, un assillo che non si sapeva forse lui stesso spiegare, aveva modellato la sua maschera d’attenzione. Al primo gol del Cagliari ecco, impercettibile, una smorfia sorpresa. «To’ - deve aver pensato - questa mia cara Inter oggi mi darà un poco da soffrire. Ma il mio amico e predecessore Massimo Moratti me lo ha detto così tante volte dall’anno scorso a ieri: pazza Inter, àmala. E io la amo, certo che la ama, mannagia a lei». Ecco, sul mannaggia a lei non garantiamo il virgolettato, ma sul resto abbastanza. 

Di lì a poco Osvaldo pareggia. Tutti si aspetterebbero di vedere il presidente sturarsi di gioia, saltare almeno di un centimetro e mezzo sul seggiolino, ma invece Erick pare una statua di salgemma delle Molucche. Come si dice a Giacarta: senza fare un plissé. Anzi, quasi contrariato. È un Thohir che sembra intronato da mille fusi orari, non applaude. Forse ha già previsto il pomeriggio di passione, l’ha sentito come un’acidità di stomaco, un gorgo al piloro. Lo stomaco è un acido profeta: dall’ 1-2 all’1-4, alla faccia del Maalox, le espressioni di Thohir sono da gastrite acuta. Ma con pensieri fattisi più insondabili, che non osiamo estrinsecare. Com’è strano il calcio, per Thohir e per il resto di noi bipedi più o meno senzienti. Com’è strana l’Inter (àmala, eccetera eccetera).

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