Zanetti: "Inter, ristoranti, solidarietà. I miei vent’anni a Milano"

Il campione: "Sarò nerazzurro a vita in una città fantastica"

Zanetti in visita a Il Giorno, a sinistra il direttore Mazzuca (Newpress)

Zanetti in visita a Il Giorno, a sinistra il direttore Mazzuca (Newpress)

Milano, 24 aprile 2016 - «Firmerò un contratto a tempo indeterminato. Sono interista dal primo giorno in cui sono arrivato, per me è una grande dimostrazione di stima». La notizia, Javier Zanetti, la dà all’inizio della chiacchierata con i cronisti del «Giorno», in occasione dei 60 anni del quotidiano.Una ricorrenza festeggiata accogliendo in redazione la bandiera nerazzurra, calciatore e capitano per due decenni e ora vicepresidente a vita.

Dopo tanti anni cos’è Milano per Javier Zanetti?

«Io abito a Como, ma Milano è parte della mia vita. Ricordo l’estate del 1995, quando sono arrivato e la città era deserta. Oggi mi piace girarla, percorrerla. È fantastica, piena di storia. La mia seconda casa. Avrà sempre una parte importante nel mio cuore».

Una città in cui èmolto amato, ma ricorda qualcuno che l’ha anche criticata?

«Per fortuna non ricordo grandi proteste. Ho sempre tenuto molto al rispetto reciproco tra me e i tifosi, anche quelli delle altre squadre. I tifosi sono la cosa più importante che abbiamo eMilano è una città esemplare. Salvo rari episodi non ci sono mai stati atti di violenza, soprattutto fuori dallo stadio».

I tifosi fanno parteanche dei ricordi delle sue gare di fine carriera...

«Vero. Mi è dispiaciuto che nella mia ultima a San Siro non ci fosse la Curva per squalifica. La Nord mi ha però fatto un grande regalo aspettandomi fuori dallo stadio, venendo una settimana dopo a Verona e poi al Match for Expo».

L’Italia è anche il Paese in cui ha cominciato la sua attività con la Fundacion Pupi. Che cos’è per lei la solidarietà?

«Vuol dire tanto. Noi abbiamo iniziato nel 2001, in un momento molto difficile per l’Argentina. Volevamo dare un’alternativa valida ai bambini. Siamo cresciuti tantissimo, grazie soprattutto all’Italia e alla fiducia del vostro Paese nei miei confronti».

Sappiamo che ha un rapporto importante anche con la fede.

«Importantissimo.Ho avuto il grande privilegio di conoscere gli ultimi tre Papi, compreso Bergoglio che sa trasmettere umiltà e vicinanza al popolo».

Tornando a Milano, anche le attività commerciali fanno parte della sua vita. Nei suoi ristoranti argentini entrano i milanisti?

«Ovviamente! Al ‘Gaucho’ vanno spesso Ambrosini, Gattuso, Abbiati. Ancora oggi mi sento in famiglia in quel ristorante e lo stesso vale per il ‘Botinero’».

Dovesse invitare un suo vecchio compagno,magari il più forte con cui ha giocato, chi chiamerebbe?

«Escludendo gli argentini dico Roberto Baggio: uomo straordinario».

Comunque non è facile distaccarsi dai suoi connazionali. E infatti per tanti anni si è parlato di ‘clan degli argentini’ nello spogliatoio nerazzurro...

«Tutti pensavano che comandassimo, la realtà è che eravamo grandi professionisti e onoravamo la maglia. Quando non si andava bene si parlava sempre del clan perché faceva comodo. Io da capitano non ho mai preso una decisione senza prima consultarmi con il resto della squadra al completo. I brasiliani, con cui si diceva non andassimo d’accordo, erano nostri amici e lo sono ancora».

Lei crede che Icardipossa essere il suo degno erede? E’ arrivato giovane, è argentino, porta la fascia di capitano...

«Siamo completamente diversi, ma io da capitano ho sempre pensato che la prima cosa fosse la società. Se lui penserà lo stesso non avrà difficoltà a continuare insieme a noi».

Tra le tante vittorie le manca proprio l’acuto con la nazionale. È un suo rimpianto?

«No perché il mio sogno era giocare almeno una gara con l’albiceleste e sono arrivato a 145». Il suo rapporto con la stampa e i giornalisti in generale? «Ho sempre accettato tutte le critiche e ho messo la faccia ogni volta che serviva. Come per ogni mestiere anche nel vostro c’è di tutto, ma io ho sempre dato e ricevuto rispetto».

Sono passati dieci anni da Calciopoli: che idea si è fatto?

«È stata una pagina molto triste del calcio italiano. Purtroppo qualcuno, anche all’interno della stampa, fa finta che non sia mai esistito nulla. Dieci anni fa il calcio italiano era visto con vergogna nel mondo. Oggi la situazione è cambiata, per fortuna. Allora tante volte ci siamo fatti delle domande quando eravamo in campo, poi abbiamo saputo cosa stava accadendo».

Torniamo all’attualità: per chi farà il tifo tra le quattro semifinaliste di Champions?

«Dico l’Atletico Madrid. Per il mio amico Simeone e perché stanno facendo un lavoro fantastico. Sarebbe bello avessero una nuova chance».

E invece quale futuroavrà l’Inter nei prossimi anni?

«La prospettiva è quella di crescere. Sappiamo che incontreremo delle difficoltà, ma vogliamo costruire una squadra che possa essere protagonista. E io ci sarò».

Cosa pensa della possibile cessione di quote societarie a investitori stranieri?

«Credo sia la realtà di questo momento. Società come Inter e Milan hanno bisogno anche di queste opportunità. Thohir vuole solo il bene della società e Moratti, anche con una quota di minoranza, sarà sempre parte di questa famiglia»

(Intervista a cura di Giuliano Molossi, Simona Balboni, Luca Balzarotti, Mauro Cerri, Camilla Garavaglia, Luca Guazzoni, Giulio Mola, Claudio Negri)

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