Montella: "Sono orgoglioso del mio giovane Milan"

L'allenatore rossonero: "Questa squadra ha un grande futuro. L'Europa è l'obiettivo ma per migliorare non serve tanto"

Montella, Milan punta a Europea league

Montella, Milan punta a Europea league

Carnago (Varese), 4 maggio 2017 - Buongiorno Montella. Come ci si sente dopo aver vissuto un momento storico del calcio italiano, quello di passaggio di proprietà del Milan?

«C’è stato un cambiamento, anche nella “psiche“ qualcosa si è mosso. Normale e inevitabile. La nuova società però sta facendo le cose con accortezza».

E che impressione le ha fatto la nuova proprietà?

«Trasmettono fiducia. Mi hanno esposto il piano economico, hanno un progetto importante».

Tre partite con i nuovi padroni, manca però la prima vittoria. Forse sarà solo un caso ma non è che c’è nostalgia per le visite del passato che vi faceva Galliani nel pre-gara?

«In un passaggio così importante uno scossone si avverte,. Noi sappiamo che Galliani ha fatto la storia della società, ma vi assicuro che il nuovo managment si sta comportando in maniera impeccabile... Sempre presente, ripetono obiettivi e aspettative. Credo si stia facendo tutto con accortezza gli equilibri non si sono spezzati».

Sia sincero: che effetto le fa non ricevere da alcune settimane la chiamata di Berlusconi il lunedì mattina? Un po’ una sorta di “liberazione“...

«In realtà non mi chiamava da gennaio...».

Non è che sia un gran bel segnale, considerato che l’ex Cavaliere in passato era sempre stato molto presente... E poi gli ultimi tre mesi sono quelli in cui siete scivolati lentamente all’indietro...

«Forse abbiamo perso certe partite perché non mi dettava la formazione (risata...). Scherzo. Fra di noi c’è sempre stato grande rispetto e massima stima. Comunque il mio punto di riferimento è sempre stato Galiani. La quotidianità era con lui, non l’ho mai oltrepassato».

Aver meno pressioni può aiutare nel percorso di crescita?

«Noi abbiamo un obiettivo da centrare, le pressioni ci sono sempre. Ma al tempo stesso dobbiamo creare le basi per il futuro, e, se possibile, costruire una squadra con un’identità italiana. Alcuni obiettivi li abbiamo già raggiunti, su altri ci stiamo lavorando».

Le ultime due partite sono però note stonate in un contesto di positività. Cosa è successo contro Empoli e Crotone?

«Pesa il fatto di dover raggiungere dei traguardi a tutti i costi, abbiamo sofferto squadre che si chiudono. Ora dobbiamo riprenderci questi punti pesanti nelle ultime partite, magari entrando in campo con più spensieratezza».

Nelle ultime gare il migliore è stato il portiere...

«Potevamo e dovevamo fare di più, essere più cattivi. Ma non è una squadra pigra o indolente».

Quando venne contattato per guidare il Milan, le chiesero di badare più all’estetica o al risultato?

«Credo non ci sia un modello vincente, l’importante è avere coerenza. Scegliere il gioco e far sì che sia funzionale alle esigenze del gruppo. Mi son fatto l’idea che la squadra piace, il pubblico ci dà una dimostrazione costante di affetto. Vero, mi volto indietro e vedo che la storia dice altro, ma sono felice di allenare questi ragazzi. E’ un bel gruppo e sta portando avanti un progetto»

Però ripensando a dove eravati messi prima di Natale, alle spalle della Juventus e con un piede in Champions, non ha dei rimpianti?

«Non mi sono mai posto la domanda del tipo “arriveremo in Champions?“. Il mio obiettivo era quello di far migliorare i calciatori, e per alcuni è successo anche se detta così può sembrare paradossale. La verità è che la nostra corsa va fatta su noi stessi e sui miglioramenti che siamo in grado di fare».

Questa squadra, prima seconda, poi settima e adesso sesta cosa vale realmente?

«Penso che la classifica alla fine rispecchia quello che hai dimostrato in un anno. Però nella mia valutazione non faccio confronti col passato: vero, abbiamo più punti ma questo non vuol dire che si è fatto meglio o si sia più in alto. E’ un campionato diverso dallo scorso anno, il valore della nostra squadra è diverso come è diverso quello delle concorrenti. Io so quanto siamo cresciuti, è riduttivo valutare un allenatore confrontando la classifica del passato».

Di sicuro il suo più grande merito è stato quello di valorizzare, senza fare mercato, calciatori che lo scorso giugno sembravano in bilico...

«Sono contento che tutto ciò mi sia stato riconosciuto dall’ambiente. E sono grato ai giocatori, ci hanno messo buona volontà e sacrifici. Ho trovato collaborazione e ne vado fiero, questo gruppo ha un grande futuro davanti».

Proviamo a vedere quel che non ha funzionato: al di là di Bacca e Lapadula forse è mancata la giusta chimica nel reparto avanzato...

«E’ colpa mia (sorride...). Mi sono concentrato molto sulla fase difensiva, prima dicevano che ero offensivo... lavoro per fare meglio»

Cosa non rifarebbe?

«L’allenatore ha sempre la possibilità di migliorare attraverso gli errori. A posteriori è tutto più facile... Comunque credo che la mia gestione sia stata coerente».

Il Milan è passsato da un sergente di ferro (Mihajlovic) ad un tecnico capace di farsi rispettare senza urlare...

«Quando ci sono argomentazioni trovo che non sia necessario alzare la voce. Il calciatore, se non è un lavativo, deve essere sempre difeso dal suo allenatore. Ed io sono molto orgoglioso per come ho svolto iol mio lavoro e per come la squadra mi ha seguito, rispetto all’inizio dell’anno c’è stata una crescita notevole da parte di tutti i calciatori».

Non resta che mettere la firma sul rinnovo...

«Io sono molto sereno».

Scherzi a parte, Fassone si è sbilanciato diverse volte, anche in giornata. Si va avanti con lei. Stiamo tranquilli?

«Vero che parlo tanto di futuro e di progetti, ma sono concentrato sul presente. Vero, all’inizio di ogni progetto si guarda avanti...».

Siamo più chiari allora: l’anno prossimo allenerà ancora il Milan?

«Non c’è motivo per cui dovrei pensarla diversamente. La società è stata molto chiara...».

Da addetto ai lavori come si spiega la lunga crisi del calcio milanese?

«Sono situazioni cicliche. Prima c’erano famiglie che investivano molto, ora c’è più comtetizione anche all’estero. Ci vuole organizzazione, intuito e capacità, ma ci sono i margini per avvicinarsi alle migliori in Europa. La Juve da questo punto di vista insegna...».

Quanti soldi servono per costruire una squadra da Champions?

«Non lo so. Può bastare anche meno delle cifre che si dicono, tante volte i prezzi di certi giocatori non hanno logica. Però ricordiamoci che dobbiamo superare Juve, Napoli, Roma e Inter...»

Dopo anni di “tecnici usa e getta“ lei è l’unico che rischia di essere confermato al termine della stagione. Il primo luglio prossimo a Milanello qual è la prima cosa che le piacerebbe vedere?

«Vorrei ritrovare tanti di questi ragazzi che ci sono oggi. Primo fra tutti Donarumma che fa la differenza totale. Sarebbe una buona base per ripartire. La spina dorsale c’è, con pochi innesti si puà fare meglio».

Intanto bisogna conquistare l’Europa. Domenica arriva la Roma, ennesima gara da vincere a tutti i costi...

«Ce ne sono state tante da vincere per forza... però la classifica dice che siamo lì, sempre tre punti avanti. Sarà una partita divertente, serve la vittoria a entrambe».

Ci rimase male quando, dopo l’addio dei Sensi, la mandarono via? Era un giovane allenatore emergente...

«Mi diedero una bella opportunità in 13 partite, e poi una grande possibilità a Catania. Se tornerei per completare il lavoro? Veramente non l’ho neppure iniziato, solo chi vive a Roma tanti anni può capire quanto sia difficile staccarsi da quella città...»

Ritroverà Totti, cui Monchi e il club hanno appena dato il “benservito“: preferirebbe vederlo solo in panchina?

«Sempre meglio tenerlo fuori fino al novantesimo, sono pochi i calciatori che con una giocata possono determinare il risultato»

Quanto le piace Dzeko?

«Molto forte, parla la sua storia. Però se potessi scegliere prenderei un “piccoletto“ come me, sono i più furbi».

Nniente Benzema o Morata?

«Me ne hano attribuiti tanti. Il mio attaccante ideale deve segnare e lavorare per la squadra».

(ha collaborato Luca Guazzoni)

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