Milano, 7 novembre 2011 - Non sono bastate sedici ore di viaggio e 1.800 chilometri in un giorno per farsi ricevere da Antonio Cassano. Non è bastato chiedere una mano al procuratore, parlare con la moglie Carolina. Tutto inutile. Peccato che il visitatore non fosse una persona qualsiasi, ma colui che ha scoperto, cresciuto e lanciato nel calcio il talento barese, ovvero Tonino Rana, 66 anni, presidente della Pro Inter, la prima società di Fantantonio. «Sono partito da Bari alle 7 del mattino col treno, ripartirò stasera alle 21 (ieri per chi legge, ndr), avrei voluto vedere Antonio almeno un minuto e abbracciarlo ma mi è stato impedito. Dicevano che era stanco e doveva riposare e poteva incontrare solo Prandelli, ma appena sono sceso dal terzo piano sono saliti da Antonio sei capi ultras. Che delusione...».

 

Anche perché voleva vederlo a tutti i costi..
«Appena ho sentito del suo malore, ho seriamente pensato di venire immediatamente a Milano. Immaginavo fosse impossibile avvicinarsi alla sua stanza, ma per altri motivi. Avrei solo voluto dimostrargli che per lui io ci sono sempre».

 

Da quanto tempo conosce Cassano?
«Me lo portò suo zio per la prima volta 21 anni fa. Non avevo la scuola calcio, ma appena lo vidi palleggiare non ebbi alcun dubbio e lo presi in squadra. Per sette anni andavo a prenderlo a casa e lo accompagnavo a scuola. Quante “cassanate”, quante arrabbiature. A volte l’ho cacciato perché non ne potevo più...»

 

Però sul campo..
«Un fenomeno. Quando giocava non ce n’era per nessuno. Rimaneva al buio, dopo gli allenamenti, a palleggiare da solo: 600-700 tocchi. Poi il Bari, il gol all’Inter che mi fece piangere tanto, quindi la Roma, le telefonate che mi faceva quando era depresso...»

 

E che le diceva?
«Che Totti lo pativa e che gli aveva messo i bastoni fra le ruote. Da quando è passato alla Samp ci siamo persi di vista, lui ha cambiato i numeri e non si è fatto più sentire...»

 

Dica la verità, ci sono stati screzi...
«Cose personali, ma nulla che facesse pensare a questo atteggiamento. Questa poteva essere l’occasione per far pace, volevo prendermi una pizza con lui, ho mangiato veleno... E gliel’ho detto alla moglie quando è scesa: “Guardi che sono quello che ha creato suo marito, questa non è un’umanità”».

 

Se potesse, ora cosa gli direbbe?
«Che è un ingrato, spero che i soldi non gli abbiamo dato alla testa. Mi sento ferito. Io nel campo della mia società ho uno striscione grande “Pro Inter Bari Antonio Cassano”. Lo toglierò, non lo merita».