Barone, settant'anni col Milan nel cuore

L’inossidabile leader della curva sud ripercorre la sua vita tra stadi, gioie e guai

Giancarlo Capelli, 70 anni ieri, volto storico della curva sud di Milano

Giancarlo Capelli, 70 anni ieri, volto storico della curva sud di Milano

Milano, 23 gennaio 2018 - Quando parla di trasferte e coreografie gli si accendono gli occhi come a un ragazzino. Un “ragazzino” di 70 anni, quanti ne ha compiuti ieri Giancarlo Capelli, alias «Il Barone», l’ultras più longevo e inossidabile d’Italia. Una vita intera spesa per il Milan e la Curva Sud.

Come ha festeggiato settant’anni un capo ultrà?

«In famiglia, come tutti. Insieme a mia moglie, straordinaria nel sopportarmi sempre, ai figli e ai nipotini. Poi credo che gli amici organizzeranno qualcosa».

Niente compleanno allo stadio, dunque?

«No, domenica c’era Cagliari-Milan ma io ho il Daspo. Un bel rammarico e non solo per la partite vietate»

Per cosa, allora?

«Per il motivo del Daspo: aver cambiato settore a una partita, scendendo dal secondo al primo anello (il riferimento è al Milan-Juve del 2016 quando un gruppo di ultrà scese al primo anello in seguito a contrasti per la coreografia, al culmine di varie tensioni con il gruppo del settore sottostante, ndr). Ormai funziona così: per un cambio di seggiolini rischi la diffida».

Torniamo alle origini: come nasce il nome Barone?

«Negli anni ’70, amavo vestirmi in doppio petto e con la cravatta. Ero sempre elegante, così iniziarono a chiamarmi il Barone».

La prima volta allo stadio?

«Non ricordo la partita, avevo 13 anni e prendevo il tram da Porta Venezia: per arrivare a San Siro ci metteva un’ora. All’inizio andavo ai distinti dietro la porta della curva nord. Poi...»

Poi?

«Mi aggregai alla Fossa dei Leoni: all’inizio si stava ai popolari, l’attuale secondo anello arancio. Dopo tanti anni in Fossa, noi del nucleo storico fondammo la Nobiltà Rossonera, ci unimmo poi al Commandos Tigre. Nel ’95, dopo i fatti di Genoa-Milan, decisi di tornare al secondo anello nelle Brigate Rossonere che erano in difficoltà. Oggi c’è quello che ho sempre sognato, un’unica sigla: Curva Sud Milano».

Genoa-Milan, si diceva: l’omicidio di Claudio Spagnolo...

«Domenica maledetta, rischiai la galera perché qualcuno mi identificò come uno degli aggressori del tifoso genoano. Per fortuna un funzionario di polizia testimoniò la mia estraneità ai fatti».

C’è un’altra vicenda giudiziaria che ha portato ad arresti e condanne ma con il Barone prosciolto.

«Sì, quella della tentata estorsione al Milan: l’accusa più infamante che mi abbiano mai rivolto. Io venivo regolarmente ricevuto dai dirigenti e anche dal presidente Berlusconi. Era una prassi di buon senso darci i biglietti da gestire. Ma quali minacce? Mi spiace solo che mi abbiano assolto solo per un vizio di forma e non nella sostanza. Io sono un ultrà, fossi un delinquente in tutti questi anni di intercettazioni e indagini lo avrebbero scoperto».

Veniamo alle gioie ora...

«Da tifoso la finale di Champions contro la Juve. Da ultrà ce ne sono tante ma possono essere riassunte nel senso di appartenza condiviso ogni volta con i miei “fratelli”. Niente è più bello di un tamburo che rulla o di una coreografia da allestire insieme, come fanno oggi i tanti ragazzi coinvolti nella Sud».

E se qualcuno di loro vuole fare casino?

«Oggi non ha più senso creare scontri. Le leggi sono così dure che ci si rovina la vita. Meglio fare casino tifando. Tuttavia sarebbe ipocrita negare che, se aggredito, l’ultrà non porge l’altra guancia».

Augureresti la stessa vita intensa a tuo figlio?

«La mia vita è stata straordinaria grazie allo stadio ma onestamente sono contento che mio figlio abbia scelto la mia squadra ma un’altra strada».

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