Milano, 25 agosto 2012 - Fabrizio Olmi, milanese, coltiva la passione della vela da dodici anni. È un veterano delle Paralimpiadi, quella di Londra sarà la terza edizione a cui prenderà parte. Ad uno sport come la vela ci si dedica anima e corpo, ritagliando il tempo tra famiglia e lavoro, per stare anche tre quattro ore in barca, d'inverno... magari con solo qualche grado sopra lo zero. Ma Fabrizio Olmi non si spaventa davanti alle fatiche. La navigazione è una passione che insegue anche dopo un incidente che l'ha costretto sulla sedia a rotelle.

Che sensazioni prova a pochissimi giorni da Londra?

«C'è tanta tensione, anche alla terza Paralimpiade. Ovviamente dopo due edizioni si gestiscono meglio le emozioni che non sono più quelle della prima volta»

Cosa si aspetta da questi Giochi, dopo il 12°posto di Atene e il 10° di Pechino?

«La mia classe (la 2.4 N.d.R) è molto competitiva, ci sono sette-otto nazioni che puntano alla medaglia. Io voglio rientrare nel gruppo di testa. Conosco i miei limiti e le capacità dei miei avversari. Miro ai primi otto. Io ho tanta esperienza, ma l'Olimpiade non è mai una gara come le altre. Ci sono troppi fattori in gioco. L'Italia è sempre stata l'ultima nazione a strappare la qualificazione, ma io ho sempre fatto bene ad ogni edizione. Quindi posso sperare di migliorarmi»

Da quanto fa vela?

«Ho iniziato nel 2000, così solo per provare. Mi sono appassionato subito, poi nel 2002 ho iniziato le gare nazionali con buoni risultati. Il passaggio dopo sono state le competizioni internazionali con la selezione per Atene 2004. Come nazione ci siamo qualificati al limite grazie alla mia prestazione»

Che sensazione prova quando si mette al timone?

«Libertà. Soprattutto perchè posso navigare in autonomia. Adesso però l'agonismo ha cambiato un po' le cose, con la tensione pre-gara e l'emozione che provo nell'istante della partenza alla regata. Ormai l'agonismo ha preso il sopravvento sulla semplice navigazione. Ma il vento e l'acqua danno sempre emozioni incredibili»

Lei gareggia nella classe 2.4...

«Sì, si chiama così per la formula di progettazione della barca che è dislocante a chiglia. È una barca utlizzabile anche dai disabili principalmente per la sua sicurezza perchè non può scuffiare»

Qual'è la preparazione per una Olimpiade?

«Principalmente io lavoro e quindi ho dovuto incastrare le due cose. Negli ultimi due anni abbiamo faticato molto con 120 giorni di allenamento e regate. Abbiamo navigato d'estate sul Lago di Garda e d'inverno a Valencia con sessioni di 5-6 giorni a settimana. Si usciva la mattina e poi nel pomeriggio, restando in acqua anche 5-6 ore al giorno. Poi c'era la preparazione a casa, con pesi e ginnastica...»

Nei suoi programmi c'è anche Rio?

«È una domanda difficile. A cui non è semplice rispondere, anche perchè la vela non è la mia professione. Probabilmente se andrò a Rio sarà con un'altra imbarcazione, ma non ho ancora un'idea precisa. Per ora mi godrò Londra. La vela è un'esperienza bellissima, ma è anche un grande impegno soprattutto d'inverno. Ho tolto tempo alla mia famiglia, quindi ci devo pensare bene...»

Lei che è arrivato alla terza Paralimpiade, si sente un esempio per chi, come lei, ha dovuto affrontare difficoltà importanti nella vita?

«No, sinceramente non mi sento un esempio. Però mi rendo conto che a Lovere quando insegno vela nei corsi per disabili, la gente reputa le mie esperienze un valore aggiunto. Le persone che mi sono vicine mi ammirano, ma io non mi sento così speciale»