Milano, 3 luglio 2011 - «Penelope Pitstop?». Secondi di silenzio perplesso: «Sì, era sul biglietto di compleanno che mi hanno fatto in officina! Stavo pensando a un pilota turco...». Michela Cerruti ha 24 anni, pochi per ricordarsi «La corsa più pazza del mondo», un vecchio cartone animato che imperversava sulle tv locali negli anni ’80, e la pilotessa di cui sembra la versione umana, compresa la macchina rosa.

La sua Mercedes C3 Amg color confetto, uscita dall’officina leggendaria di Romeo Ferraris a Opera, comincia a dare del filo da torcere agli omaccioni del Superstars International Series, il campionato più competitivo della categoria. Ma Michela non si sogna neanche di strillare «Aiuto! Aiuto!» come quella bionda disegnata da Hanna e Barbera. Laureata in Psicologia alla Cattolica, una parlantina che le è valsa un ingaggio come telecronista per la Indy su Sky, stuoli di fan con cui condivide i successi su www.michelacerruti.com, senza risparmiarsi autocritiche. E nonostante sia figlia d’arte (il papà Aldo, detto “Baronio”, è un noto pilota), ha cominciato a correre solo nel 2008. «Troppo vecchia, in pista mi misuro con gente che è stata messa sul kart a sei anni. Perciò mi alleno come una mucca da traino».

Come?
«Guidando più che posso, sul kart, sul circuito di Vairano, a Bologna dove c’è un simulatore. E poi tantissima palestra...».
Palestra?
«Lo sforzo fisico non è indifferente, le macchine da corsa non sono facili da guidare».
E corri contro gli uomini.
«Rispetto ad alcuni posso essere fisicamente meno forte, ma non a tutti, ti assicuro».
Perché tuo padre non ti ha messa sul go-kart a sei anni?
«Da piccola mi ha fatto provare tutti gli sport, ma non quello... Forse sperava che non ci fossi portata, anche se ora, se smettessi, ci resterebbe malissimo».
Come hai iniziato?
«Quando ho preso la patente si è accorto che la velocità mi piaceva un po’ troppo. Così mi ha fatto fare un corso di guida sicura con Mario Ferraris, il figlio di Romeo. È lui che mi ha fatto provare in pista».
E poi?
«A me ha detto che non ero capace, poi però è andato da mio padre a proporgli di farmi correre. Lui ha accettato, dopo un po’ d’allenamento ho debuttato al Cite (Campionato italiano Turismo Endurance, ndr) in coppia con Mario, su un’Alfa 147 Cup. Nessuno si aspettava niente, e invece sono andata meglio dell’attese. Così, l’anno dopo, ci siamo ripresentati col Cinquone».
Il Cinquone?
«Una 500 Abarth 24h Special, costruita nell’officina di Romeo, che è un genio nel campo».
Una 500 da corsa?
«Una belva: 360 cavalli (quella normale ne ha cento), superalettone, guidarla senza piantarsi contro un muro è stata una scuola, perché non hai nessun tipo di aiuto, Abs eccetera... Però sul dritto una Ferrari faceva fatica a passarla. Nel 2010 abbiamo raddoppiato: il campionato italiano Granturismo, sempre in coppia con Mario su una Ferrari F430 bianca, e il Superstars con una Mercedes».
La differenza?
«Al Gt ci sono sia professionisti sia piloti gentleman».
I professionisti non lo sono?
«Non è un ambiente da educande, ma gentleman qui vuol dire non professionista. C’è tanta gente che ha un sacco di soldi e ama giocare con le macchine».
Il Superstars invece?
«Lì gareggiano anche campioni come Thomas Biagi ed ex Formula Uno: l’anno scorso correvo contro Gianni Morbidelli, quest’anno Johnny Herbert è con me nel team di Romeo. Le aspettative erano tipo: “Se arrivi ultima sei bravissima, se ne metti dietro uno sei un mito”.
E ne hai messi dietro?
«Ho preso un sacco di mazzate, ma su una trentina di macchine riuscivo anche a finire dodicesima, tredicesima. Ho fatto solo cinque punti in una stagione, ma sono andata avanti».
E all’apertura del Superstars 2011, in aprile, hai vinto a Monza.
«Ci sono rimasti tutti un po’ male».
Perché sei giovane e donna?
«Ma soprattutto perché ho solo due anni d’esperienza, in categorie non competitive».
E la macchina rosa?
«Ha debuttato l’anno scorso: finché arrivavo ultima non era il caso di dare nell’occhio, man mano che miglioravo e iniziavo a sportellare a metà classifica è sorta l’esigenza di farmi riconoscere. E la livrea ha funzionato, eccome: la gente non si ricorda la mia faccia né il mio nome ma sa che sono “quella della Mercedes rosa”».
E gli uomini?
«Non puoi capire, quando una macchina rosa li sorpassa in mondovisione. Non devo neanche far fatica: guardano nello specchietto e sbagliano da soli. Sono fatti così, e meno sono bravi, più cercano di mettermi in difficoltà».
Ed ecco affiorare la laurea in Psicologia.
«Un fatto sconvolgente nell’ambiente, i laureati sono rari».
Da grande cosa vuoi fare?
«Il pilota. L’unica incognita è che le gare, da sole, non danno da vivere. Devo rendermi visibile, per trovare gli sponsor».
Una rivista ti ha selezionata come “ragazza da sposare”. Sei da sposare?
«Mica tanto, non sono un tipo facile...  E non è facile far capire a un uomo l’impegno che richiede un’attività agonistica. Col mio ultimo fidanzato è finita anche per questo».
E ai box?
«Ottimi partiti, avance, ma in due anni non ne ho trovato uno che a casa non avesse una fidanzata o una moglie».
Da piccola giocavi con le Barbie o con le macchinine?
«Diciamo che mettevo la Barbie in macchina. Io e mia sorella avevamo la minijeep elettrica in giardino, ma ero la classica bimba vestita di rosa, sono sempre stata molto femminile».
Facciamo un test: le guide con tuo padre per la patente.
«Un’esperienza tremenda, da lacrime agli occhi».
Mai rimasta senza benzina?
«Mai! E quando succede a mia sorella o alle amiche le sgrido».
Sai cambiare una gomma?
«Non mi è mai capitato, ma se mi ci trovassi credo che sarei capace. Però in macchina sono molto donna: mi trucco, guido col tacco 12 e mi s’incastra. E non so parcheggiare».
Che macchina hai?
«Ehm... Ho appena sfasciato una 500. Mi sono abbioccata in autostrada e sono finita contro un Tuareg. Ma non credere sia di quelli che fanno i 250: mi sfogo solo in pista».
Sì o no alla sosta in autogrill?
«Certo! Con pieno di patatine. E poi fanno uno stinco col purè...».
E al Superecopass?
«Stai scherzando? Sono contrarissima, è una violenza!».