Nic Cester: "Milano mi ha dato la nota giusta"

Il cantautore australiano al Santeria col suo disco solista e una super band

Nicholas “Nic” Cester

Nicholas “Nic” Cester

Milano, 18 febbraio 2018 - Con i Jet ha venduto oltre sei milioni di dischi. Poi, dopo “Shaka rock”, è arrivata una crisi da cui Nicholas “Nic” Cester riemerge ora grazie a “Sugar rush”, album solista Made in Italy che presenta questa sera al Santeria Social Club. In scena il cantante australiano è affiancato da The Milano Elettrica, super band che conta su Sergio Carnevale dei Bluvertigo (con lui Nic ha aperto il Sixième Bistrò in zona Darsena), Daniel Plentz dei Selton, Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion, Roberto Dragonetti e Raffaele Scogna.

“Sugar rush” è la sua risposta a un complicato momento esistenziale.

«Ho lavorato tanto su questo disco: tre anni interi. Sapevo che per me era importante. Dopo lo scioglimento dei Jet mi sono sentito perso; non sapevo cosa fare, se continuare o mollare la musica. E quando, finalmente, mi sono deciso a provare a vedere (forse per l’ultima volta) se era il caso di andare avanti o di fermarsi, le idee sono arrivate una dopo l’altra».

Meno male.

«All’inizio c’era molta confusione, ma dopo un paio di mesi avevo di nuovo in mano le redini della mia musica. Riuscivo di nuovo a scrivere come sapevo. E volevo».

Qual è oggi il suo centro di gravità?

«Negli ultimi tre anni ho vissuto tra Milano e la mia casa vacanze di Como, e prima altri due anni a Berlino. Sono nato a Melbourne, ma mio nonno paterno Ercole veniva da Pordenone, mia nonna Maria Camilla da Nervesa della Battaglia, nel Trevigiano. Mia madre è scozzese, ma io non mi sento né italiano, né scozzese, né tantomeno australiano: un vero bastardo. Mia figlia Matilda, però, è italiana. È nata a gennaio e ho appena iniziato l’iter per darle anche la cittadinanza australiana».

Jim Kerr dei Simple Minds dice che gli scozzesi e gli italiani hanno in comune molte più cose di quanto si pensi.

«Forse sì, anche se la mia esperienza suggerisce il contrario: i miei hanno divorziato».

Com’è nato questo disco?

«All’inizio ho lavorato a Berlino con Jim Abbiss, già al fianco di Adele, Bjork, Arctic Monkeys, Queens of the Stone Age e tanti altri, suonando tutti gli strumenti. Poi, quando il disco era quasi finito, ho deciso di reinciderlo completamente perché mi sono reso conto che l’assenza di un vero gruppo toglieva un po’ di respiro. Questo anche per dargli un suono live, da tour».

Quindi?

«Ho chiamato il mio amico produttore Tommaso Colliva e gli ho chiesto cosa pensasse di questa idea. Mi ha detto che era quella giusta e così ho spostato il baricentro del progetto a Milano, alle Officine Meccaniche di Mauro Pagani dove lui lavora spesso con i Muse, per risuonare tutto il repertorio con i Calibro 35. Quando s’è trattato di fare i primi concerti in Australia, però, i Calibro non erano disponibili; così, sempre con Tommaso, ho messo assieme in due sole settimane un nuovo gruppo che abbiamo chiamato The Milano Elettrica».

E come si trova?

«Sono il peggior musicista della mia band, per fortuna c’è Viterbini che mi solleva dal compito di suonare la chitarra. Questo permette di concentrarmi solo sul canto acquisendo una confidenza con i brani che non ho mai avuto prima».

Esegue anche “Veleno”, il pezzo degli Afterhours cui prestò la voce?

«No, ma ci sono altre cover che mi stimolano molto. Mio padre in Australia aveva un vinile di Wess, “I miei giorni felici”, che mi piace ancora molto, anche se trovo fantastico pure “Prisencolinensinainciusol” di Celentano».

Niente pezzi dei Jet?

«Tra un paio d’anni magari, ora no. Non voglio confondere la mia attività solista con quella del gruppo. Anche perché, finito questo tour europeo, riunisco i Jet per una serie di concerti in Australia e Giappone».

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