La guida ai film a cura di Silvio Danese

 

CARS 2: di Brad Lewis, John Lasseter. Animazione.

Secondo episodio, inevitabile e non sempre divertente, con un po’ di «salsiccia» italica. Come nel primo, l’antropomorfismo delle auto crea personaggi a tutto tondo, a partire dall’eroe «nomen omen» McQueen, con l’inseparabile Cricchetto, il pickup arrugginito e onesto che questa volta sarà coinvolto in un intrigo internazionale. La strada per partecipare alla gara più importante del mondo è disseminata di deviazioni e sorprese quando con inseguimenti esplosivi dall’Europa al Giappone. Studiata proiezione mondiale del primo episodio americano, è un’operazione sapiente di marketing che porterà una straordinaria gamma di gadget anche nelle case degli italiani. Finale col marchio d’asfalto monzese.

 

13 ASSASSINS : di Takashi Miike. Con Kôji Yakusho, Yusuke Iseya.

A metà ’800, 13 guerrieri contro tutti. Rinnova la saga dei magnifici sette e dei samurai di Kurosawa. Takashi sembra controllare tutto e, con dettagli da miniatura digitale muscolare, non perde occasione per parlarci di crudeltà e ingiustizia, ricatto e onore. Girando per i siti di cinema e sfogliando le riviste specializzate Takashi Miike ha già una epigrafe unanime: «il più prolifico e controverso filmmaker giapponese». Horror, thriller, manga hanno sempre un segno riconoscibile, per «eleganza» della violenza favolistica. Qui ricalca e rimette in gioco il già-visto. E’ il secondo «cappa e spada» della sua carriera, se mettiamo in conto l’ultimo film presentato a Cannes, «Hara-kiri».

 

X-MAN L'INIZIO: di Matthew Vaughn. Con James McAvoy, Michael Fassbender.

Come si sono incontrati gli X-Men? Perché Charles sta su una sedia a rotelle? Da dove vengono X-Mansion e Cerebro? Domande cruciali quelle a cui risponde questo prequel (ma è detto anche reboot, riavvio), ambientato negli anni della Guerra Fredda. La battaglia che si scatena tra il giovane Professor X, interpretato da un poco adeguato McAvoy, e il nazista che gli uccise la madre per smascherare i suoi «poteri» infantili (un farabutto Bacon) sostituisce la verità nota della crisi nucleare della Baia dei Porci. Come? Scopritelo. Un didascalico, ripetitivo, rispetto per la differenza fisica e banali tratteggi dei personaggi non convincono. Per i fan.

 

I GUARDIANI DEL DESTINO: di George Nolfi. Con Matt Damon, Emily Blunt.

«Dio ti vede, sa tutto e decide per te». Se abbandoniamo questa minaccia di controllo e apriamo la mente all’ossessione della predestinazione incontriamo il racconto di Philip K. Dick da cui è tratta questa traduzione per il grande schermo che mette l’accento sul dramma dell’amore impossibile. A dividere un politico in carriera (Damon, e quando c’è lui ci si dimentica dei problemi) e una étoile emergente è un esercito di «angeli» che ha l’incarico di sovrintendere a ogni relazione umana nel mondo. Ce la faranno? Nonostante il lieto fine a lacrima calda, nonostante certe assurdità, si finisce per lasciarsi portare.

 

GARFIELD IL SUPERGATTO: di Mark A.Z.Dippé. Animazione.

Garfield il pigro, cinico, riottoso, vendicativo, con un potenziale di moderato qualunquismo in cui potrebbe riconoscersi mezzo popolo del pianeta, viene coinvolto da un Supergatto a fronteggiare una felina cattivissima che vuole conquistare l’universo. Siamo al terzo episodio e si sente la stanchezza. Dalla combinazione tra fiction e animazione (live action), si passa a un progetto d’intera animazione, e qualcosa il film perde in freschezza e suspense. Garfield resta un figlio di buona gatta, viene comunque dal candeggio della commediola hollywoodiana per famiglie, però stavolta, chiamato a partecipare a un fuoco d’artificio digitale, su una storia francamente moscia, è anche un po’ inerte. In 3D.
 

 

THE HUNTER: di Rafi Pitts. Con Rafi Pitts, Mitra Hajjar.

Perduta la moglie e la bambina, vittime innocenti di pallottole vaganti durante scontri di strada tra polizia e dimostranti, il guardiano decide di uccidere due poliziotti a caso. Prende la mira da molto lontano, è un tiratore infallibile e, braccato nella foresta, è il simbolo di un’ingiustizia del potere che colpisce ovunque per sopravvivere. Le sommosse sono appena un cenno dello sceneggiatore, regista e interprete, Rafi Pitts. Non potrebbe dire di più, non glielo permetterebbero. Nella sua dimensione povera, certo low budget, ma di spettacolare forza civile, è un noir di denuncia anche nell’atmosfera sospesa sul destino di un paese. Era in concorso a Berlino.

 

LIBERA USCITA: di Bobby e Peter Farrelly. Con Owen Wilson, Jason Sudelski.

Vicino ai deliri «boldeschi» italici, anche se non si tocca proprio lo stesso livello di volgarità. Libera uscita per due mariti stanchi, concessa per una sola settimana da mogli furbe (una sorta di sabbatico breve che in inglese fa «hall pass» come il titolo originale). Rick e Fred si buttano da single nel vortice di un’anelata promiscuità che in realtà è l’incontro di una vera «vita difficile». I fratelli Farrelly di «Tutti pazzi per Mary» fanno un po’ spazientire per scarse invenzioni comiche e ripetitività. Curioso quanto Owen Wilson, attore di levatura, sia anche capace di buttarsi via in queste scemenze. Commediola estiva per coppiette in cerca di refrigerio da aria condizionata.

 

LONDON BOULEVARD: di William Monahan. Con Colin farrell, Keira Knightley.

Lui pressato dal boss della banda che pretende il suo reinserimento, lei dai paparazzi e dallo star system che non ammettono la sua decisione di lasciare il mondo del cinema. La passione che nasce tra il factotum, ex criminale appena uscito dal carcere, interpretato dal volto malinconico di Farrell, e l’attrice, ricca e depressa, interpretata dalla Knightley, ha per sfondo una Londra periferica che corrisponde al loro incontro: due solitudini in un mondo di sfruttamento. Dirige lo sceneggiatore di «Departed» che recepisce atmosfere noir classiche, ma anche la loro disgregazione. Godard? Be’, non esageriamo.

 

VENERE NERA: di Abdel Kechiche. Con Andre Jacobs, Yahima Torrès.

Prima a Londra come selvaggia addomesticabile alle fiere popolari, poi a Parigi nei salotti promiscui della borghesia aristocratica, una schiava ottentotta viene esibita al guinzaglio dal padrone circense (primi ’800). Da documenti di cronaca, Kechiche ricostruisce la storia di Saartje, poi Sarah per un più protetto sfruttamento, nel nascente Occidente industriale all’alba della crudeltà (società) dello spettacolo. Tra i palcoscenici e i salotti, dove infine viene offerta anche a cavalcate sadiche e toccamenti, mentre razzismo, erotismo, prostituzione e laido mercimonio si combinano, il realismo va fino in fondo a sviscerare la persecuzione del corpo femminile. Uno sguardo indietro che sembra un’orazione sul presente.

 

L'ALBERO DELLA VITA: di Terrence Malick. Con Brad Pitt, Jessica Chastain.

Nei simbolici anni ‘50 del Sogno americano, la vicenda parcellare della famiglia O’Brien, padre severo (Pitt), madre piena di grazia (la Chastain), il sensibile figlio Jack, s’inscrive nell’esordio primigenio dello spazio, da cui tutto incomincia e a cui tutto torna, dal Big Bang alla formazione delle galassie, il silenzio dei pianeti, i meteoriti che feriscono la terra, vulcani, erosioni marine, larve e medusoidi, boschi e formazione cellulare. In poche sequenze, l’adulto Jack (Penn), architetto di una metropoli vetro-acciaio, rivolge alla sua memoria le domande cruciali dell’educazione, delle esperienze, dell’affetto nella vita, nel tempo. Film di poesia, con passo sinfonico, chiaro e profondo. Disponibile al rifiuto. Sfida luminosa alle norme narrative.

 

PIRATI DEI CARAIBI OLTRE I CONFINI...: di Rob Marshall. Con Johnny Depp, Penelope Cruz.

Si cambia rotta, dopo i tre film di Verbinski, il primo, «La maledizione della prima luna», resta inevitabilmente il più fresco e coinvolgente. Al timone, Marshall, che accentua e dilata il seme cappa&spada di questa divertente fusione di generi del cinema classico americano (fantastico, costume, horror), con la fuga di Jack dal palazzo reale, salti e piroette alla maniera di Jackie Chan, ripetitivi duelli e l’incontro con la “chica” Cruz, novità ben piazzata, perché la sua Angelica, sedicente figlia del pirata non-morto Barba Nera, quando è in scena dà un giro alla ruota che rallenta. Si fa ricordare la battaglia delle sirene, nella luce fosca delle stampe romantiche.

 

PAUL: di Greg Mottola. Con Simon Pegg, Nick Frost.

Un estratto digitale, irriverente e cattivello, dell’indimenticabile pupazzo E.T. di Spielberg/Ram-
baldi incrocia i Men in Black in versione turistica. Accolto sul camper di Frost&Pegg, strana coppia che «svacca» un po’, Paul è un personaggio quasi riuscito, soprattutto quando resuscita un tenero uccellino morto e poi se lo mangia. Gli sceneggiatori americani, ma anche europei, italiani e francesi, credono di risultare nuovi cucinando il vecchio. Ha qualche momento divertente, questa commedia sci-fiction che deve molto al gusto goliardico del regista. Da qualche parte si legge che Mottola sperava diventare il nuovo Woody Allen. È fuori strada.

 

IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA: di Jean-Pierre e Luc Dardenne. Con Cécile de France, Thomas Doret.

La  storia del 12enne Cyril è prima di tutto un dramma dell’abbandono, nell’ostinata e toccante ricerca del padre, scomparso e ritrovato nella cucina di un ristorante. Dal quale si sente dire la verità: «Non posso più tenerti, sparisci». Avvincente, lineare cronaca dell’affido del dodicenne Cyril alla parrucchiera Samantha (Cécile de France), via le implicazioni psicologiche, cinepresa in pedinamento, violenza in agguato. I Dardenne trattano sempre materia prima per i manuali di sociologia della personalità e delle relazioni umane, mantenendo una lucida indipendenza dall’ottimismo di mercato, lasciando allo stile il compito di guidare la verità. Qui più aperti a un’incoraggiante soluzione.

 

UNA NOTTE DA LEONI 2 : di Todd Phillips. Con Bradley Cooper, Ed Helms.

Dopo l’exploit del primo film, che a sorpresa resuscitava il «buddy movie» collettivo o, se preferite, il «college movie» dei trentenni, con un trio comico centrato, tornano i ragazzoni del primo episodio, in trasferta in Thailandia per il matrimonio di un altro maldestro del gruppo. Dalla scintillante e corrotta Las Vegas alle scintillanti e corrotte notti orientali si colleziona una serie di prevedibili goliardate in versione truculenta, tra arti mozzati e tanta droga, spacciati per una novità della disimpegnata combriccola di eroi delle cazzate, mentre è soltanto una formula che ripete, con le stesse marcature comiche, i passaggi del film già visto, nonostante la regia di Phillips mantenga il ritmo.