Milano, 17 ottobre 2012 - UNO SGHEMBO giorno milanese, dal cielo invisibile, aggrumato tra palazzi e cortili. Già scappa qualche goccia. Un giorno come tanti, di umida liturgia autunnale, da smemorarsene. Eppure, cone è sicuro che prima o poi nel viale sotto casa passerà il suono elissoidale di una sirena, il destino del quotidiano si raggrinza nel delitto. La vittima è una donna, alle soglie della sessantina, uccisa - nell'ovvia immediatezza generica del primo rapportino di polizia - da un corpo contundente. Nel lento carosello di inquirenti c'è la prontezza un po' frettolosa del giornalista sul pezzo: deduce per mestiere, non ha i lacciuoli dell'indagine canonica, sicché viene guardato con sospetto dagli addetti ai lavori. Cose che già si sanno.

IL CRONISTA solerte è un irlandese dal nome assai irlandese nella sua isolana tipicità, un Mario Rossi di colassù: Tom O' Connor. Finanche oleografico: per sopravvivere al grigiore milanese si rifugia in un pub gaelico, beve com'è naturale (per lui) caraffe di birra nera della nota marca dublinese. In verità questo O'Connor, nella confusione delle lingue e nella mutazione genetica della metropoli meneghina, ci sta a suo agio e disagio, pesce fuor d'acqua che s'è arrangiato a respirare. Nella caccia al colpevole O'Connnor ha la vertigine dell'apripista, anche se lo sconcerto di storie che presto si affastelleranno (un apparente schiumare di indeterminatezze invischianti, un Pasticciaccio quasi gaddiano di volti e di voci) lo porteranno lontano, in dimensioni più incresciose, quasi sbiadenti in un fondale metafisico.

SIAMO al proemio di "Diabolico tango", giallo policromo di Bruna Bianchi, collega al "Giorno" di cronaca bianca e soprattutto nera, per la quale ha sempre avuto una passione istintiva, dolente. La costruzione della storia - unitamente all'amore transoceanico per il tango - è durata anni, come un work in progress in definitiva provvisorietà. Il cantiere di Bruna Bianchi è ora chiuso per fine lavori e il primo sguardo che il passante-lettore vi può gettare (senza avere come è ovvio svelato d'acchito l'assassino, il movente e le movenze) è disorientante. Perché è il dolore (incarnato) che uccide, quasi fosse un'entità sovraumana e senziente, deliberata: dà un senso più alto e tragico alle storie dei singoli: il male, più del bene, tenta ognivolta di reincarnarsi e quando ci riesce, tortura, stupra e uccide: il suo braccio è lungo, il suo tempo dilatato, così come i suoi spazi d'azione, da una stanza di tortura del vecchio regime argentino a un cortile milanese, da una giovane partigiana della Resistenza seviziata e violentata da un repubblichino chiamato Adolfo (altro scopertissimo nomen omen) a un giornalista irlandese con un oscuro e lacerante senso di colpa incastonato nella sua perspicacia come un diamante nero.

E IL CONTRAPPUNTO di quell'agire oscuro e doloroso di vittime e carnefici, nello spazio e nel tempo, è proprio il tango, danza più simile al ricordo di un dolore che ci tallona con snaccherato snello tacco di scarpa di donna o, assaio peggio, un dolore che ci precede per attenderci. Un tormento senza requie, l'anima color liquirizia di un tempo ciclico ineludibile.

Claudio Negri