Sfregiato con l'acido, sopralluogo a Viboldone: caccia al martello con il pm, ma non si trova

Un contadino giura: "io l'ho visto, ma non l'ho preso". Eppure è sparito. Recuperati otto possibili corpi di reato nel luogo indicato dal terzo indagato di Marinella Rossi

Il sopralluogo del pm

Il sopralluogo del pm

Milano, 1 aprile 2015 - Salici piangenti selvatici e Non ti scordar di me a timide chiazze azzurrine. Qui, di notte, ci fu il sabba di fuoco sulle bottiglie d’acido e indumenti usati per bruciare la faccia di Pietro Barbini. Qui, tre mesi dopo l’aria è ferma, il sole alto, la visuale una linea piatta tra la via Emilia e, a sinistra, una stradina fra due rogge. Un contadino allarmato dalla carovana di blindati, auto di polizia e macchinoni piomba col trattore sul suo terreno. Che è, mica cercherete un cadavere? 

Cercano un martello. Che non c’è più. Ma c’era. Lo racconta il contadino due, quello chiamato a soccorso dal primo agricoltore proprietario del fondo, là dove il pubblico ministero Marcello Musso, sterrata a sinistra da San Giuliano Milanese e lasciando a destra la visuale della basilica trecentesca di Viboldone, affonda vanga e mani nude nella melma, aiutato dal garbo unico di un avvocato di parte civile, Chiara Graffer.  Il magistrato «tenace contadino piemontese», così si battezzò lui per dire di sé che spala processi a oltranza, ieri le maniche se le è rimboccate fuor di metafora. La polizia guarda, la scientifica reperta (otto possibili corpi di reato semidistrutti dal fuoco). E lui cerca, affondando la pala imprestata dal contadino («Qui siamo come un esercito prussiano, ma non abbiamo portato manco una vanga» brontola Musso), il martello-mazzetta che Andrea Magnani, complice della coppia Martina Levato-Alexander Boettcher, ha raccontato di avere buttato e incendiato, su ordine di Martina, nella roggia a sinistra a poche centinaia di metri da un casolare: sono le otto di sera del 28 dicembre, Pietro Barbini, ex compagno di liceo della Levato, è stato appena bagnato da due secchiate di muriatico lanciate da Martina, Alexander si è dato con un martello all’inseguimento del ragazzo ustionato, Martina e Andrea, complice “inconsapevole” a suo dire, sono scappati a lavarsi e distruggere tutto.

Ma di martelli, ha detto Magnani nel suo interrogatorio come teste imputato di procedimento connesso al processo per l’assalto a Barbini, ce ne sono due. Uno è suo, messo dentro una tracolla che lui avrebbe dovuto passare, senza saperne il motivo, a Boettcher. E quel martello dice di averlo gettato alla fine di tutto nella roggia di Viboldone, per dargli fuoco col resto. Così parte la carovana del sopralluogo a verifica di fatti e credibilità del teste. Magnani in cellulare da Opera, dietro il pm Musso con polizia scientifica, volanti, penitenziaria. Avvocati di tre indagati e di quattro parti offese, tutti a seguire.

La carovana pende dalle labbra di Magnani, felpa azzurrina, il fare bancario, le manette ai polsi. Ma lui, da Opera dove è recluso, non sa rifare la strada visto che a Viboldone c’è andato da casa, da via Venosa. Così si gira in tondo, una, due, tre volte. Gli avvocati difensori si spazientiscono, i legali di Martina, Marziano Pontin e Paola Bonelli, sollevano un cumulo di eccezioni sulle modalità del sopralluogo. Ma si va avanti. Ermanno Gorpia, difensore di Boettcher, propone di mettersi sulla via Emilia, per uscire dall’impasse. E là Andrea ritrova la strada: un paio di chilometri e il blindato fa da capofila della carovana, porta tutti a 500 metri dall’imbocco dalla via Emilia, e a 500 dal casolare, roggia sinistra. Indica deciso il punto, tra fango e reperti semisepolti. Il pm si cala, estrae otto possibili corpi di reato: un collo di bottiglia di plastica verde che avrebbe contenuto o acido o benzina, stando a Magnani; una grande busta porta-abiti, che avrebbe contenuto i vestiti da distruggere di Martina e che non è andata distrutta; frammenti di plastica (forse di bottiglia); un lembo di etichetta di indumento; un bottone; un’etichetta, forse intrusa, di Private.com. Il martello non c’è, il metal detector non serve. Ma il contadino proprietario dà la svolta: «Un altro agricoltore qualche giorno fa, ripulendo la roggia a destra, mi ha detto di aver visto una mazzetta, qui dalla mia parte». Si chiama il contadino. Passi lunghi, ma col timore di avere a che fare col pm. Ha visto una mazzetta, circa una settimana fa: «Ma io non l’ho presa, non era nel mio terreno». E ora non c’è più. Avrà fatto gola a qualcuno, qui dove pare improbabile un via vai, eppure dicono che di notte tra le alte spighe c’è un bel giro di spaccio. Le parti civili, Andrea Orabona, Roberto Parente e Graffer sorridono: è confermata la credibilità di Magnani, dicono. L’avvocato di Boettcher, Gorpia, molto meno: «Quel contadino è stato imboccato, non poteva rispondere che come ha risposto». marinella.rossi@ilgiorno.net 

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