La storia di Alfaisal: dalla Siria all'Università di Monaco grazie ai volontari di Milano

La storia di Alfaisal Obaid Al Anezi tornato in città per ringraziare gli "angeli" di Fondazione Progetto Arca

Alfaisal Obaid Al Anezi

Alfaisal Obaid Al Anezi

Milano, 27 maggio 2016 - Alfaisal ce l’ha fatta. Mostra con orgoglio il passaporto tedesco. Sogna di laurearsi all’università di Monaco di Baviera e poi di andare a lavorare in Kuwait. Non ha dimenticato, però, chi l’ha aiutato a proseguire il viaggio verso la Germania: i volontari di Fondazione Progetto Arca. "Quando l’abbiamo visto arrivare – raccontano i ragazzi che ogni giorno accolgono i migranti nel nuovo hub di via Sammartini – quasi non ci credevamo...". E invece era proprio lui: Alfaisal Obaid Al Anezi, diciannovenne siriano. "Sono venuto qui per ringraziarli", sorride con quegli occhi azzurri che comunicano tanta voglia di vivere. La sua storia è simile a quella delle decine di migliaia di connazionali passati al mezzanino della Centrale prima che il centro di smistamento venisse spostato altrove. Milano come crocevia di un’odissea che aveva come punto d’arrivo i Paesi del Nord Europa. Partito all’inizio dell’anno scorso da Abukamal, piccola cittadina al confine con l’Iraq ("Lì comanda l’Isis"), ha risalito a piedi la penisola balcanica per poi fare ingresso in Italia dalla frontiera slovena.

Il 30 aprile 2015 è stato intercettato dalla polizia di Udine: "Mi hanno preso con la forza le impronte digitali", facendo in realtà rispettare la procedura prevista dalle norme comunitarie. Fine del sogno? No. Qualche giorno, il ragazzo, che ha lasciato la famiglia in patria, ha preso il treno con destinazione Milano. Sistemato nell’ex Cie di via Corelli, il 12 maggio ha ripreso la marcia, sempre in treno: da Milano a Verona e da Verona a Monaco di Baviera. "Alcuni li hanno beccati, io sono passato liscio". Una volta giunto a Monaco, Alfaisal si è domandato: Meglio chiedere asilo in una cittadina più piccola del Nord-est o nella grande metropoli già alle prese con le domande di tanti altri profughi?". Meglio la prima, in teoria, ma alla fine la richiesta l’ha presentata in Baviera: "Durante il colloquio – spiega – ho detto la verità, e cioè che mi avevano preso le impronte in Italia". E, di conseguenza, lì avrebbe dovuto tornare, secondo le stringenti regole imposte dalla Convenzione di Dublino. Invece la commissione giudicante ha detto "sì", avviando le pratiche per il riconoscimento dello status di rifugiato. "Studio fino a tardi: voglio diplomarmi e andare all’università. E poi questo passaporto mi consente di viaggiare in tutti i Paesi dell’Ue". E pure di venire a salutare i vecchi amici a Milano.

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