Maugeri, pm: ridicolo che Formigoni parli di regalie, è corruzione

Requisitoria del pm Laura Pedio nel processo a carico, tra gli altri, dell'ex presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, imputato per associazione a delinquere e corruzione con l'accusa di avere favorito la Fondazione Maugeri in cambio di denaro e altre utilità

Roberto Formigoni

Roberto Formigoni

Milano, 6 aprile 2016 - "E' ridicolo, semplicemente ridicolo pensare che si sia potuto trattare di regalie tra amici. Solo Formigoni, nel suo flusso di coscienza in aula, ha potuto parlare di forme di cortesia. E' quasi offensivo". E' un passaggio della requisitoria che il pm di Milano Laura Pedio nel processo a carico, tra le altre 9 persone, dell'ex presidente della Regione Lombardia e attuale senatore Ncd, Roberto Formigoni, imputato per associazione a delinquere e corruzione con l'accusa di avere favorito la Fondazione Maugeri in cambio di denaro e altre utilità. Nel corso delle sue dichiarazioni spontanee, Formigoni aveva parlato di semplici regalie ricevute dall'uomo di affari Pierangelo Daccò.

La rappresentante della pubblica accusa ha parlato di "sistematica corruzione" che ha coinvolto l'allora presidente della Regione Lombardia. Un sistema che gli imputati, stando a questa ricostruzione, avrebbero cercato di nascondere "attraverso un reticolo di società estere costituto ad hoc, diventato negli anni sempre più fitto, anche per la schermatura posta in essere da corrotti e corruttori". "Un sistema - ha precisato il pm - che comprendeva oltre 50 scatole vuote di società disperse nel mondo, piu' di 88 conti correnti sparsi per il mondo". 

"Mentre la sanità affonda come il Titanic, loro andavano in barca e bevevano champagne" ha aggiunto il pm Laura Pedio. La versione di Formigoni che, riguardo alle ormai famose gite in barca, parlava di vacanze con amici, viene definita dal pm "surreale e patinata in una vicenda così drammatica". "In questa vicenda non c'è niente da ridere - dice il magistrato - l'unica cosa risibile sono gli argomenti difensivi sui quali potremo scrivere un libro di favole o di fantascienza, a seconda del genere che preferiamo". 

"Oltre 70 milioni sono stati rubati ai malati della regione Lombardia, soldi destinati a curare i pazienti, ai posti letto, all'acquisto dei farmaci". E' il durissimo atto d'accusa del magistrato: "In questo processo siamo tutti parte offese, non solo chi si è costituito parte civile, perché il denaro pubblico non è questione tra privati, non sono fatti loro". Roberto Formigoni avrebbe quindi "venduto le sue funzioni di presidente della giunta a imprenditori della sanita' lombarda che, per ottenere soldi, hanno pagato cospicue tangenti a Pierangelo Dacco' e Antonio Simone che le hanno ricevute e utilizzate anche a vantaggio del presidente".

IL SISTEMA - Questa la sintesi del pm, Laura Pedio, davanti ai giudici della decima sezione penale. Per il pm si e' trattato di "una corruzione che ha coinvolto l'intero sistema regionale per favorire enti attraverso delibere che si ripetevano ogni anno, quasi come un contratto di somministrazione". In questo contesto, "gli assessori avevano un ruolo del tutto marginale, essendo stati emarginati dall'organizzazione. L'unico assessore che ha tentato di modificare le decisioni, Alessandro Ce', se n'e' dovuto andare via". Assieme a Formigoni tra gli altri sono imputati l'ex assessore Antonio Simone e l'uomo d'affari Pierangelo Dacco' che, per  a procura, sarebbero stati, "i collettori delle mazzette" e intermediari tra Formigoni e gli enti ospedalieri favoriti dal Pirellone, la fondazione Maugeri e l'ospedale San Raffaele.

"UN CANCRO" - "Il metodo di Daccò - secondo quanto ricostruito dal pm - era un cancro della sanità che si andava via via allargando. Un metodo di pressioni sulle istituzioni pubbliche non basato su competenze tecniche, perché Daccò, lo ha ammesso lui stesso, non aveva competenze tecniche, ma su relazioni d'affari di tipo personale". La pm, che sostiene la pubblica accusa insieme al collega Antonio Pastore, ha ripercorso passo passo le vicende che hanno portato al crac del San Raffaele, successive in ordine di tempo rispetto agli episodi di corruzione contestati per la Fondazione Maugeri, ma esplicativa rispetto a quanto accadeva nella sanità lombarda. A definire il metodo Daccò "un cancro", era stato il dg della sanità della Lombardia e del San Raffaele Renato Botti. Il pm ha anche ricordato le parole di Stefania Galli, segretaria di Mario Cal, il braccio destro di Don Verzè, fondatore del San Raffaele, che si è tolto la vita nel suo ufficio nel luglio 2011. Per Stefania Galli "il ruolo di Daccò era di collettore di tangenti, riceveva soldi per conto di Formigoni" per ottenere "delibere favorevoli".

Il San Raffaele "era al collasso", "il gioco si faceva duro" e "anche Don Verzè dovette pagare Formigoni e lo fece attraverso Mario Cal che consegnava i soldi a Pierangelo Daccò". Questo "il flusso" di quei circa 9 milioni di euro in contanti che sarebbero usciti in buste dalle casse dell'ospedale milanese per arrivare al faccendiere, "collettore delle tangenti" per l'ex Governatore lombardo, imputato nel processo sul caso Maugeri. L'inchiesta Maugeri, infatti, è nata dall'indagine sul crac del San Raffaele che è scattata dopo il suicidio nel 2011 del 'numero due' dell'ospedale Mario Cal, il quale, come ha chiarito il pm, prima di uccidersi "lasciò scatoloni pieni di documenti" che vennero portati in Procura.

Il magistrato, all'inizio del suo intervento, poi, ha fatto notare come l'inchiesta Maugeri abbia già prodotto numerose sentenze definitive di patteggiamento, tra cui quella di Umberto Maugeri, fondatore della struttura e «il corruttore». E ha ricordato la condanna definitiva a 9 anni di carcere per Daccò per la bancarotta del San Raffaele. Daccò, in carcere da ormai oltre 4 anni, e Simone, sono presenti in aula

"NON PARLO" - Non ha voluto commentare in alcun modo con i cronisti la requisitoria dei pm di Milano, Roberto Formigoni. Già in una prima pausa dell'udienza il senatore di Ncd aveva detto ai giornalisti: «No, oggi non parlo, grazie, parlano i pm, poi parlerà la mia difesa, disperdetevi pure (sorridendo, ndr)». In una successiva pausa, poi, ai cronisti che continuavano a chiedergli un commento ha detto: «Non parlo, in che lingua devo dirlo, in francese o in arabo?». La requisitoria dei pm Laura Pedio e Antonio Pastore si concluderà nella prossima udienza fissata per l'11 aprile.

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