Quei 3 anni persi a litigare sulle aree. Da qui la fretta dell’ex commissario Sala

Tanto ci volle per l’intesa Formigoni-Moratti. E poi si dovette correre

Roberto Formigoni presidente della Regione per quattro mandati e Letizia Moratti un solo mandato da sindaco

Roberto Formigoni presidente della Regione per quattro mandati e Letizia Moratti un solo mandato da sindaco

Milano, 18 dicembre 2016 -  A dispetto della logica, l’Expo ha avuto addirittura due peccati originali. Il primo è quello tornato alla ribalta per effetto dell’iscrizione nel registro degli indagati di Giuseppe Sala da parte della procura generale, quello che coincide con le modalità attraverso le quali fu assegnata la gara per la realizzazione della piastra del sito. Perplessità provocò fin dall’inizio il ribasso col quale la Mantovani si aggiudicò quei lavori (pari al 42%) e il fatto che per quell’appalto non fossero state formalmente fissate soglie di anomalia. Il resto venne solo poi, con le inchieste del 2014 che portarono all’arresto, tra gli altri, di Antonio Rognoni, ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde. Nelle inchieste sulla piastra Sala entra ora con l’accusa di «falso ideologico e falso materiale» per via della presunta retrodatazione al 18 maggio del verbale col quale il 30 maggio si notificava la sostituzione di due membri non idonei della commissione aggiudicatrice dell’appalto. Una scelta che sarebbe stata fatta nel superiore interesse della manifestazione, per evitare che la procedura da attivare per la sostituzione dei commissari sferrasse un colpo letale al cronoprogramma, già critico, dei lavori. Il rischio era che i cantieri non chiudessero in tempo per l’inizio dell’evento, fissato al primo maggio 2015. 

Per quanto fin qui ricostruito, la cattiva consigliera di Sala fu la fretta. E la fretta fu il frutto (avvelenato?) del secondo peccato originale dell’Expo, commesso prima del primo, ovvero: il frutto della scelta di acquistare i terreni sui quali si sarebbe poi svolta la manifestazione e l’incredibile quantità di tempo sprecata perché si arrivasse a tale scelta. Un calendario dell’orrore, quello dei primi tempi dell’Expo. Milano si aggiudicò l’edizione 2015 dell’Esposizione il 31 marzo del 2008. Allora la foto di gruppo vide in primo piano, felici e contenti, il sindaco Letizia Moratti, il presidente della Regione, Roberto Formigoni, quello della Provincia, Filippo Penati, e il premier Romano Prodi. Un’era politica fa. La data che avrebbe dovuto segnare il decollo della fase preparatoria dell’evento sembrò segnare, invece, l’inizio della fine. Da quel giorno si aprì, infatti, un estenuante braccio di ferro tra Formigoni e la Moratti sulle modalità di acquisizione dei terreni scelti per ospitare i padiglioni, di proprietà dei fratelli Cabassi e di Fondazione Fiera. Da un lato il governatore, convinto che quei terreni fossero da acquistare tramite la costituzione di una società pubblica o a maggioranza pubblica. Dall’altro la sindaca, convinta che fosse meglio prenderli in comodato d’uso per i mesi dell’Esposizione e restituirne una parte ai proprietari a evento finito. Il prodotto dell’intesa si chiamò, infine, «Arexpo»: una società pubblica per l’acquisto dei terreni, come voleva il governatore, in cui la maggioranza fosse del Comune (ipotesi iniziale), come chiesto dal primo cittadino, col riconoscimento a Palazzo Marino del diritto di designarne l’amministratore delegato. 

Peccato che l’intesa fu formalmente presentata il 17 aprile 2011: a oltre tre anni dall’aggiudicazione dell’evento. Nel mezzo il nulla: impossibile aprire il minimo cantiere in aree che non erano nelle disponibilità delle istituzioni pubbliche. Da qui la fretta dalla quale Sala fu costretto a prendere consigli. Suo malgrado. Altro fattore da non dimenticare nel valutare l’operato in Expo dell’attuale sindaco è la parziale solitudine nella quale si trovò ad assumere decisioni dal maggio 2013, quando fu nominato dall’allora premier Enrico Letta «commissario unico del Governo per Expo» (un provvedimento partito con il premier Mario Monti). Fino a quel momento i commissari erano stati due: quello «straordinario», coincidente con la figura del sindaco di Milano, e quello «generale» coincidente con la figura del presidente della Regione. Furono Giuliano Pisapia e Roberto Maroni a scardinare questa divisione di onori e oneri aprendo un’aspra polemica col Governo, a loro dire reo di essere lontano dall’Expo. Il primo, a giugno del 2012, arrivò al punto di rimettere il proprio mandato da commissario nelle mani di Palazzo Chigi.  

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