Busto Arsizio (Varese), 21 settembre 2017 - Chiama alla «battaglia comune», Roberto Maroni. Chiama anche i sindaci lombardi del Pd a una marcia su Roma che faccia di più colori nessun vero colore. «Il referendum per l’autonomia della Lombardia non è il mio referendum né il referendum della Lega Nord – scandisce il governatore –: è il referendum dei lombardi. Facciamo vincere il ‘sì’ e dal giorno dopo sono pronto a concordare la piattaforma rivendicativa da sottoporre al Governo insieme ai sindaci dei Comitati per il Sì, compresi i sindaci del Pd che a quei comitati hanno aderito. Vinciamo e porterò tutti a Roma, compresi i primi cittadini del Pd».
Mossa strategica, quella del presidente della Regione Lombardia. Certo, la causa autonomista è di per sé capace di superare gli argini tra destra e sinistra, basti pensare al caso della Catalogna, ieri al centro delle invettive dei leghisti: «Pagina fra le peggiori della democrazia» concordano Luca Zaia e lo stesso Maroni; «Vergogna, le idee non si arrestano, vogliono fermare il cambiamento proprio come qui in Italia vogliono fermare la Lega» tuona Salvini; «Ritiriamo l’ambasciatore», insorge Roberto Calderoli. Ma è altrettanto vero che tra quei «sindaci lombardi del Pd» che hanno promosso i Comitati per il successo del referendum c’è anche Giorgio Gori, il primo cittadino di Bergamo. Segni particolari? Gori è il candidato in pectore del centrosinistra alle elezioni regionali in programma in primavera. È l’uomo scelto dal Pd per provare a strappare a Maroni e al centrodestra la guida di Palazzo Lombardia. Ecco allora che, al di là delle dichiarazioni di facciata, la causa autonomista e quella elettorale finiscono giocoforza per confondersi. È un tentativo, quello di Maroni, di ‘spezzare la penna’ a quella parte di Pd che, a partire dallo stesso Gori, rivendica i natali di un autonomismo diverso.
Diverso come? Diverso quanto? Gori è poco distante da Maroni quando il governatore chiede che «per la prima volta nella storia della Lombardia tutte le forze politiche si schierino unite per l’autonomismo». L’uno e l’altro sono sotto i padiglioni di Malpensafiere. «Sono pronto ad accogliere l’invito di Maroni, se chiama ci vado domattina. Ma a una condizione – replica il sindaco di Bergamo –: ci sto solo se il percorso è serio, se si smette di far propaganda e di raccontare cose non vere». A che si riferisce l’aspirante governatore del centrosinistra? «Maroni continua a dire che con l’autonomia si potrà trattenere in Lombardia il 50% del residuo fiscale, qualcosa come 27 miliardi di euro: questa è una cifra propagandistica perché non se ne fa cenno nel quesito referendario e soprattutto perché non esiste la possibilità che questa richiesta diventi realtà. Impossibile anche che la Lombardia diventi una Regione a Statuto Speciale». Da qui la controproposta di Gori a Maroni: «Ragioniamo insieme sulle materie per le quali è giusto che la Regione chieda di avere maggiori competenze rispetto alle attuali: lavoro, istruzione, ricerca, tutela dell’ambiente, tutela della salute e sistema istituzionale della Lombardia». Gori guarda poi all’Emilia Romagna per affondare il colpo: «In questi giorni Stefano Bonaccini, insieme al Consiglio, sta definendo le richieste autonomiste da sottoporre al Governo. Esattamente quello che aveva fatto la Lombardia di Roberto Formigoni il 3 aprile del 2007 vedendosi però bocciare la richiesta dal governo Berlusconi, nel quale Maroni figurava come ministro. Ora ci sono 10 anni da recuperare».
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