Tasse, scuola e imprese: la sfida dell’autonomia e la regione da ridisegnare

Maroni fissa la data del referendum lombardo. Ma è scontro sull’efficacia

Una veduta di Milano (Newpress)

Una veduta di Milano (Newpress)

Milano, 22 aprile 2017 - È la porta che apre all’autonomia o un’inutile consultazione che lascerà tutto com’è? Del referendum consultivo per l’autonomia della Lombardia si parla ormai da due anni e mezzo e ieri, finalmente, il governatore Roberto Maroni ha comunicato la data: si terrà domenica 22 ottobre, lo stesso giorno del referendum in Veneto. Ma che cosa cambierà in concreto? Nell’immediato nulla, nel senso che la consultazione è puramente consultiva e non ha il potere di ampliare l’autonomia della Lombardia, perché per fare questo occorrerebbe una modifica della Costituzione operata dal Parlamento. Ma Roberto Maroni ha detto più volte che un plebiscito del sì lo farebbe andare a trattare con il Governo da una posizione di forza per negoziare maggiori poteri per la Regione.

Nel quesito referendario non sono specificate le materie su cui verrà richiesta maggiore competenza, ma potrà essere fatto su questioni come istruzione, ambiente e sanità ad esempio. Sulla scheda gli elettori troveranno scritto: «Volete voi che la Regione Lombardia, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione?». Il referendum era passato in Consiglio regionale con la proposta di introduzione del voto elettronico e grazie ai voti decisivi dei grillini che hanno detto sì assieme al centrodestra. La data del 22 ottobre è stata scelta dai governatori Maroni e Zaia dopo che il Governo non ha fornito una risposta sulla proposta di un election day con le amministrative di giugno. Ieri da Bergamo il presidente lombardo ha lanciato quasi un appello: «Non credo che nessun lombardo possa votare no al quesito: vuoi che una parte rilevante dei 53 miliardi di tasse lombarde che escono dalla Lombardia e non tornano rimangano qui per aiutare chi ha bisogno, per realizzare gli ospedali, per migliorare l’assistenza sanitaria, abolire il bollo auto?«. L’opposizione di centrosinistra, però, è stata sempre critica e ha sostenuto che la strada migliore per ottenere più autonomia era una trattativa con il Governo. A questo proposito il capogruppo del Patto civico al Pirellone, Roberto Bruni, ha detto: «In tutto questo tempo, nell’attesa di un referendum inutile, Maroni poteva avviare una trattativa con il governo risparmiando 40 e rotti milioni di euro«. Sulla stessa linea il segretario del Pd lombardo, Alessandro Alfieri: «La Lega vuole fare il referendum per iniziare così la sua campagna elettorale per regionali e politiche del 2018. Se volesse davvero il trasferimento di maggiori competenze alla Lombardia, Maroni non butterebbe al vento 46 milioni di euro e coglierebbe al volo la disponibilità del Governo di aprire il tavolo per la trattativa». Dal Movimento 5 Stelle, invece, arriva un pieno appoggio al referendum: «E’ una grande occasione per i lombardi – ha sottolineato il consigliere regionale Dario Violi -. L’autonomia è una cosa seria, il quesito referendario è nostro e non siamo qui a discutere di indipendentismo padano o di secessioni farlocche».

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