La Grande Milano lancia il suo grido: il disagio cresce, bisogna cambiare

Dalla più internazionale delle metropoli italiane l’invito alle riforme

Matteo Renzi al Politecnico

Matteo Renzi al Politecnico

Milano, 26 febbraio 2017 - Meno di un anno fa il confronto elettorale tra Giuseppe Sala e Stefano Parisi propose Milano come modello di una buona politica. Il confronto, pur non traboccando di pathos e novità, era stato civile nei toni e serio nei contenuti. La bonifica del clima cittadino dai veleni e dai furori del bipolarismo muscolare va ascritta a merito, oltre che dei contendenti, di Giuliano Pisapia. Che, al di là dei modesti risultati amministrativi, aveva pacificato la città. Peraltro, populismo e nazionalismo – ultime versioni della politica urlata – non sono di casa a Milano, per vocazione e per interesse la più internazionale delle città italiane. Neppure le difficoltà e i conflitti suscitati dall’immigrazione sono riusciti a gonfiare le vele dell’insofferenza, del rifiuto, della protesta. Salvini, che ne aveva fatto il piatto forte della sua campagna elettorale, ha seminato molto vento ma raccolto pochi consensi: la metà circa di Forza Italia. Magro raccolto anche quello dei 5 Stelle. Eppure a Milano ha sede la Casaleggio&Associati proprietaria del movimento e insindacabile guida della sua sedicente democrazia diretta. La campagna anti Expo e anti Sala dei 5 Stelle è andata a sbattere contro il successo della manifestazione e l’orgoglio cittadino l’ha trasformata in un boomerang contro i grillini.

Parisi e Sala entrambi debuttanti, entrambi manager e civil servant erano stati scelti dai leader dei rispettivi partiti: Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Con una differenza: Sala era passato vittorioso sotto le forche caudine delle primarie, Parisi era stato calato dall’alto sull’establishment di Forza Italia. Ulteriore analogia: entrambi avevano potuto contare su alleati – il Nuovo Centro Destra per Parisi, la sinistra arcobaleno per Sala – che avevano scelto in difformità dalle loro collocazioni nazionali. Simmetria imperfetta: Sala al secondo turno è riuscito a sommare i voti del centro sinistra e della sinistra. A Parisi, lanciatissimo dopo il primo turno, l’addizione non è riuscita o comunque non è bastata.

Perse un soffio le elezioni, Parisi si è dedicato a una singolare iniziativa politica. All’inizio, spinto da Berlusconi, sembrava dovesse rinnovare Forza Italia ricaricandola di nuove energie umane e di nuovo carburante progettuale con le convention battezzate Megawatt. Poi, mentre le idee nuove tardavano a manifestarsi, Parisi ha inasprito i toni della polemica con la Lega e con i vecchi dirigenti di Forza Italia. Finché, ridimensionato dallo stesso Berlusconi, si è ritrovato, se non solo, indebolito. Tuttavia la partita nel centrodestra è ancora tutta da giocare, Milano ne è l’epicentro e fra dieci mesi al più tardi si potrebbe votare sia per il Parlamento sia per la Regione.

Dall’altra parte Sala, sindaco della sola capitale rimasta al centrosinistra, già prima della sconfitta di Renzi nel referendum, vuoi per necessità vuoi per scelta, ha cominciato a darsi un profilo politico. Per necessità perché – da Ambrogio in poi – Milano, patria del riformismo cattolico, liberale, socialista non può essere sottomessa a Roma. Per scelta, perché la vittoria alle amministrative e nel referendum appartiene al Pd e alla sinistra milanese, ben più larga, plurale, colorata del partito renziano. Ora, con il 4 dicembre tutto è cambiato: divisioni e lacerazioni nel gruppo dirigente del Pd, sciami che si formano alla sua sinistra e che da alleati possono trasformarsi in rivali erodendone i consensi grazie a leggi elettorali proporzionali. L’incertezza strategica di Berlusconi e di Renzi è qui: accordarsi per neutralizzare Grillo o lottarsi per riprendere il controllo della propria parte?

Finora Renzi non ha cambiato registro. Continua a confondere riformismo e “cambismo” e, invece di disegnare attraverso il congresso una strategia meditata, consistente e coerente di riforme liberali e sociali, cerca la prova di forza e insiste con provvedimenti a pioggia vuoi per ingraziarsi l’establishment economico, corporazioni e gruppi sociali vuoi per fare concorrenza ai grillini.

Oggi Renzi è a Milano per ascoltare il suo partito. È l’occasione per sindaco, dirigenti e militanti inquieti per far sentire la voce della Grande Milano, per dire il loro disagio e dove e come cambiare. C’è solo da scegliere: dalle liberalizzazioni alla lotta alle povertà, da leggi elettorali ispirate al modello originario del “sindaco d’Italia” alla triste incompiuta della riforma Delrio delle autonomie locali sulla quale incombe la restaurazione delle province.

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