di Giambattista Anastasio

Milano, 7 aprile 2012 - Di salda confessione «federalista», fu leghista della prima ora. Ministro al Bilancio nel governo Berlusconi, nel ’94, «primo ministro della Padania» due anni dopo. Ma Giancarlo Pagliarini, allontanatosi dalla Lega Nord nel 2007, è anche un «ragiunatt», un ragioniere con laurea in Economia, titolare dell’omonima società di revisione dei conti. Uno che i numeri sa leggerli. Uno che per questo in Lega fu scherzosamente ribattezzato «Tagliarini».

Pagliarini, possibile che Bossi non sapesse com’erano gestiti i soldi della Lega?
«Io posso dire che il problema dei conti fu posto già nel 2006. E fu io a porlo personalmente a Umberto Bossi, Roberto Calderoli e ai vertici della Lega. Nel novembre di quell’anno presentai alla segreteria politica un documento in 10 punti per altrettanti problemi irrisolti del movimento. Il punto 8 riguardava i conti: il bilancio chiuso al 31 dicembre 2005 parlava di 9 milioni di euro a disposizione della Lega. Chiesi se quel dato fosse veritiero, chiesi perché, nonostante quel fiume di denaro, alle sezioni non arrivasse un centesimo e, quindi, come fossero impiegati tutti quei soldi».

Che risposero i vertici?
«Non ebbi risposta. A gennaio 2007 si tenne il congresso, ma non si volle affrontare il tema. Si preferì discutere del fatto che in alcune parrocchie le funzioni fossero celebrate secondo il rito romano e non ambrosiano. Fu allora che consegnai la mia tessera e lasciai la Lega. Ai vecchi amici del Carroccio propongo di pubblicare i bilanci ed eventualmente chiedere scusa ai militanti: questo sì che sarebbe un comportamento da veri leghisti».

Nel 2006 il tesoriere era Maurizio Balocchi, venuto a mancare nel 2010. Allora non è tutta colpa di Belsito, c’è una tradizione di poca trasparenza che unisce le due gestioni?
«La continuità è un dato di fatto. Belsito era uno stretto collaboratore di Balocchi».

Ha fatto bene Bossi a dimettersi da segretario del partito? La sua era è finita?
«Ha fatto bene, ma avrebbe fatto meglio a dimettersi nel 2006. Da allora, da quando è iniziata la malattia, non è stato più in grado di gestire il movimento. Era palese che non avesse più le energie necessarie: il vecchio Bossi girava come una trottola per tutto il Nord, sapeva carpire gli umori della gente e tradurli in idee e in azione. Dopo la malattia non fu più così. Io e altri proponemmo il progetto Ducario, proponemmo che fosse affiancato da consiglieri eletti dalla base. Invece scelse di circondarsi di consiglieri eletti da nessuno, lontani dal territorio. È lì che la Lega è finita: da movimento è diventato un partito come tutti gli altri».

Anche lei contro il Cerchio magico. Secondo la base l’origine di tutti i mali risiede lì.
«Secondo me l’origine di tutti i mali è Bossi stesso, per non aver deciso di dimettersi nel 2006. L’altro peccato originale è stato allearsi a Berlusconi ed andare al governo: la Lega delle origini non puntava al governo, ma al federalismo».

giambattista.anastasio@ilgiorno.net