Milano, 12 novembre 2011 - «Imbranato in educazione fisica» e «timido con le ragazze». «Diligente e puntiglioso» già allora. Sempre «gentile e pronto ad aiutare i compagni», a suggerire loro le risposte e a far copiare, «per quanto possibile a quei tempi», durante esercitazioni e compiti in classe.

«Un secchione, sì. Ma non di quelli che si sentono un gradino sopra gli altri. Mario è sempre stato uno umile, garbato, tutto di un pezzo. Anzi, ci rimaneva male e si faceva taciturno quando gli dicevamo che era il prediletto dei professori e che a noi non andava giù il trattamento di favore che a volte sembravano riservargli». Sorride spesso padre Umberto Libralato quando racconta del suo compagno di classe, e nell’ultimo anno pure compagno di banco, al liceo classico dell’Istituto Leone XIII di Milano: quel Mario Monti appena nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica e primo candidato alla successione di Silvio Berlusconi. Quel Mario Monti con cui padre Umberto si diplomò nel 1961.

«Fu lui a diplomarsi col voto più alto. Un numero uno nato. La sera della festa per la maturità scommettemo su chi di noi si sarebbe laureato prima: ha vinto lui, si è laureato a 22 anni».

 

Eppure Monti non era il primo della classe. E, sorpresa nella sorpresa, il professore che l’Europa ha preso a riferimento per le politiche economiche, aveva proprio in matematica il suo tallone d’Achille. «Era insuperabile nelle materie umanistiche: italiano, storia, geografia. Ma no, non in matematica. Lì c’era Merato che svettava con i suoi 9, mentre a Mario capitò di doversi accontentare anche del 6 e mezzo» svela padre Umberto. «E ricordo come fosse ieri che durante le lezioni di matematica a volte mi dava di gomito e mi chiedeva consigli: “Sei sicuro che si fa così?”. Io lo guardavo divertito e stupito: “Mario, se non sei sicuro tu come posso esserlo io?”». «Non mi stupisce, oggi, che abbia fatto tanta strada — dice padre Umberto —. Non mi fa più effetto vedere il suo nome nei titoloni dei giornali. Un enorme piacere, certo. Ma ormai ci sono abituato. Lasci che gli mandi un augurio: non mollare Marietto, resisti».

Già, padre Umberto è al tempo stesso orgoglioso e preoccupato per la sfida di governo che sembra attendere Mario Monti. «Orgoglioso perché è uno che non si è mai montato la testa. Ci siamo rivisti col resto della classe a luglio per i 50 anni della nostra maturità e ho visto che il piglio e l’approccio non sono cambiati: umile come sempre, ironico ma mai cinico».

Anche preoccupato, padre Umberto, perché un po’ come l’educazione fisica e, in gioventù, le ragazze, la politica non sembra cosa di Monti. «Mario non è tipo da compromessi. Accetterà di guidare il governo solo se lo metteranno in condizione di fare quello che sente necessario. Altrimenti, vedrete, farà saltare tutto. Lui è così: o fa benissimo o non fa. O crede in quello che fa o preferisce non fare».

Sempre stato così, il professore. «La nostra era una classe tutta maschile. Alla fine delle lezioni talvolta si andava a fare una puntatina all’istituto delle Marcelline, scuola femminile, per avvicinare qualche ragazza. Non immagina — racconta padre Umberto — che fatica si facesse a portarsi dietro anche Mario. Non voleva mai venire perché, semplicemente, non era interessato a quel genere di giri. Si andava al cineforum con la classe, questo sì. E si tornava a discutere ogni volta che c’era una manifestazione sportiva. Quando la nostra classe doveva sfidare le altre in qualche disciplina ecco che, in questo caso sì, Mario finiva sempre col tirarsi indietro».