Sesto San Giovanni, 31 luglio 2011 - A Giuseppe Grossi, il re delle bonifiche, e a Giovanni Camozzi, legale del Gruppo Zunino diventato proprietario delle ex Falck, servivano «provviste», «per provvedere al pagamento dei politici». E quei fondi sarebbero stati creati con i contratti di vendita degli immobili e con quello di marketing territoriale, a frutto di una trattativa complessa», per fare fronte alla richiesta dell’assessore sestese Pasqualino Di Leva.

Lo ha spiegato ai pm l’imprenditore Piero Di Caterina, nelle audizioni del 21 e del 24 giugno con i magistrati milanesi, messe a verbale e finite ora tra gli atti dell’inchiesta della Procura di Monza su un presunto giro di tangenti relative all’ex aree Falck e Marelli e alla gestione del Sitam, il Sistema integrato trasporti area milanese.
Indagine nella quale Filippo Penati, ex capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani, fino a qualche giorno fa vice presidente del Consiglio Regionale e in passato presidente della Provincia di Milano e sindaco di Sesto San Giovanni, è indagato per corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti.

Insieme a lui, a vario titolo, una ventina di persone, tra cui Giordano Vimercati, ex capo di gabinetto a Palazzo Isimbardi, Bruno Binasco, braccio destro di Marcellino Gavio della Serravalle, l’immobiliarista Luigi Zunino, il «re delle bonifiche» Giuseppe Grossi, l’avvocato siciliano Francesco Agnello e Giampaolo Salami, in qualità di professionisti vicini alle coop rosse emiliane, ingaggiati come consulenti per seguire la trattativa sull’area ex Falck.

 

Ricostruendo i versamenti che avrebbe fatto all’ex sindaco sestese Penati e al suo braccio destro Vimercati o ad altre persone da loro indicate, tra il 1997 e il 2003, «in cambio di favori», Di Caterina ha fornito un prospetto su un foglio formato A4: accanto all’indicazione «crediti verso Penati/Vimercati» sono riportati i conti fatti, a quanto pare, con una calcolatrice vecchio modello. Tra le cifre, spicca un miliardo in una sola soluzione, poi ancora 450 milioni di lire, 120, 100, 79 fino ad arrivare a uno o due milioni. Il tutto per un totale di circa 2 miliardi e 235 milioni di lire. Cifra che sarebbe stata poi richiesta indietro da Di Caterina e «restituita» in parte, anni dopo, tramite una finta caparra immobiliare versata, secondo la ricostruzione degli inquirenti, da Bruno Binasco, amministratore del gruppo Gavio (anche lui sotto inchiesta), su richiesta dello stessa Penati.

 

Il titolare della Caronte, società di trasporto, davanti ai pm monzesi ha ammesso anche, il 16 febbraio scorso, di aver accettato di entrare in una piccola operazione immobiliare a Sesto San Giovanni, nel quartiere Pelucca, «per mantenere il favore di Di Leva in funzione della mia protezione all’interno del Consorzio Trasporti Pubblici» all’interno del quale chi decideva erano non tanto il presidente ma i soci e, quindi, «per il comune di Sesto san Giovanni gli uomini forti, cioè il sindaco Oldrini, il direttore generale Bertoli e l’assessore Di Leva».

Penati però è di nuovo tornato a respingere le accuse parlando di una «montagna di calunnie» di persone che «mi stanno accusando per coprire i loro guai giudiziari». «Ogni giorno che passa - ha detto l’ex presidente della Provincia di Milano - va in frantumi la credibilità dei miei accusatori; emergono continue falsità e pesanti contraddizioni e così crescono i dubbi sulla veridicità e genuinità delle loro dichiarazioni».