Milano, 17 marzo 2011 - «Niente di memorabile. Se si facesse tra qualche tempo un sondaggio fra i cittadini il ricordo di queste campagne sarebbe bassissimo». Stronca tutti o quasi i manifesti elettorali già usciti o in uscita Marco Cacciotto, docente di marketing politico alla Statale.

L’effetto generale è negativo?
«Non sono certo manifesti di grande impatto, però bisogna prima capire l’effetto che vogliono provocare, quali sono le strategie che ci sono dietro. Certo, il sindaco uscente tenderà a chiedere una sorta di referendum su quello che è stato finora il suo operato, mentre lo sfidante deve riuscire a rappresentare il cambiamento».

Moratti e Pisapia ci riescono?
«La Moratti propone la politica del fare, dice: “Loro sono capaci solo a parlare, noi abbiamo governato bene”. Non so, magari saranno manifesti efficaci, ma non sono certo belli».

Pisapia?
«Punta sul cambiamento. Certo, non è facile trovare un messaggio, ma non mi sembrano parole così forti. Sta cercando di motivare gli elettori, quelli che pensano che tanto rivincerà la Moratti, dicendo che con lui si può vincere; dice: “Guardate che stavolta possiamo farcela”. Non mi sembra un messaggio particolarmente emotivo né forte».

Il Terzo polo?
«Intanto, direi che Manfredi Palmeri ha un po’ copiato i manifesti di Matteo Renzi quando si candidò a sindaco di Firenze. Lì, però, l’esponente del Pd non aveva foto sue, ma della città, ed era più credibile. Qui non si capisce di quale primavera si parli. Se si riferisce solo al fatto anagrafico, ossia che lui è più giovane degli altri, è ingiudicabile. Se lo slogan è generale, direi che non è un concetto nuovo né particolarmente trascinante. So che doveva uscire il 21 marzo, ma anche il clima decisamente poco primaverile non l’ha aiutato. Aspetto di vedere, nei prossimi manifesti, come vorrà differenziarsi dagli altri due candidati maggiori: dovrà trovare una differenziazione molto forte, che non è quella della primavera, almeno non credo».

Osnato?
«Anche dal punto di vista della leggibilità è un manifesto bruttino e non particolarmente memorabile. Molti stanno provando a collegarsi al sentimento patriottico dei centocinquanta anni dell’Unità d’Italia».

La Lega?
«Sicuramente riesce sempre a differenziarsi, anche stavolta coi manifesti. Ma sarebbe stato meglio solo lo slogan “Milano capitale” sullo sfondo verde: tappezzarci tutta la città sarebbe un pugno nello stomaco. Mischiarlo con altri concetti lo rende meno efficace. Sempre più degli altri, comunque. Il rischio degli slogan generali e puliti è che la maggior parte delle persone non si accorga nemmeno che ci sono».

Lei è molto severo.
«Ammetto che non è semplice trovare slogan innovativi: in cinquant’anni di campagne elettorali è stato usato quasi tutto».