Pisapia boccia il ministro Orlando: «San Vittore non chiuderà»

Il Comune di Milano contrario alla proposta del ministro della Giustizia di Mario Consani e Massimiliano Mingoia

Un detenuto dietro le sbarre

Un detenuto dietro le sbarre

Milano, 20 ottobre 2014 - «San Vittore resta dov’è, nel cuore della città». Il sindaco Giuliano Pisapia lo ha ripetuto in più occasioni, anche quando due anni fa tenne nel carcere di piazza Filangieri una seduta del Consiglio comunale: «San Vittore è un quartiere di Milano o meglio, come ricordava il cardinale Martini, è il cuore di Milano».

Risposta quasi scontata, dunque, al ministro di Giustizia, Andrea Orlando, che intervistato sul tema delle carceri ha fatto sapere: «Sono per chiudere quelle ottocentesche con i raggi, come San Vittore»Da Palazzo Marino la replica è pronta: «Ammodernare, non chiudere». Ma davvero è possibile riqualificare una struttura del genere? «Sono affezionatissimo a San Vittore, ma per renderlo funzionale dovrebbero abbattere metà edificio e ovviamente questo non è possibile», confessa Luigi Pagano, per sedici anni direttore del carcere e ora numero due del Dap, Dipartimento amministrazione penitenziaria. Inaugurato nel luglio del 1879, costruito a raggi intorno a un corpo centrale in modo che fosse possibile la vigilanza e il controllo dell’intero complesso, San Vittore è da almeno trent’anni al centro delle polemiche per il sovraffollamento (anche se adesso ospita “solo” 900 detenuti) e la scarsa funzionalità.

«Era un gran bel carcere orgoglio dell'Italia quando fu costruito - ripete Pagano - perché rispondeva a tutti gli standard dell’epoca. Ma oggi è chiaramente inadeguato». «A quei tempi - aggiunge - dal centro bisognava controllare tutto e vigevano l’isolamento e perfino il silenzio notturno. Ora la filosofia della pena è totalmente cambiata, i detenuti devono poter socializzare uscendo dalle loro celle, ma questo non è possibile se mancano gli spazi. E a San Vittore non ci sono spazi adeguati non solo per il lavoro ma neppure per i colloqui...». Napoletano di origine ma milanese di adozione, insignito dell’Ambrogino d’oro, l’ex direttore, pur lavorando a Roma, mantiene casa a Milano proprio davanti al “suo” carcere. «Però per quanto vi abbia trascorso una parte importante della mia vita, devo ammettere che l’edificio ha muri troppo larghi, anche tre metri, e pure se i servizi sono adeguati e il personale è ottimo, la struttura è angusta. Da sempre ho espresso l’opinione che dovesse essere chiuso e non per motivi ideologici o politici, ma tecnici. Basta andare a Opera o Bollate, appena fuori Milano, per vedere la differenza».

Se San Vittore fosse chiuso come si potrebbe utilizzare l’edificio? «Non spetta a me dirlo, non sono un urbanista. Certo la struttura oggettivamente è bella, forse si potrebbe farne un percorso di architettura, di archeologia urbana». Palazzo Marino però insiste sul valore simbolico del carcere dentro la città, come luogo di dolore da non tener nascosto. «È un dibattito interessante - conclude Pagano - anche se un tempo, quando venne costruito, il valore simbolico del carcere era diverso: mostrarlo serviva a scopo di prevenzione generale, un disincentivo per la criminalità».

 

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